Il colonialismo della Chiesa cattolica belga

Buongiorno a tutti,

 

per chi si fosse perso le puntate precedenti siam in Rwanda e Burundi, anno diciamo 1919. Il Belgio inizia a governare questi due piccoli ed inutili Paesi Africani. Il Belgio possedeva solo un’altra colonia, il Congo belga, grande peraltro 80 volte il Belgio stesso. Una commissione ufficiale del governo belga nel 1919 disse, con un certo orgoglio, che da quando Stanley aveva gettato le basi per lo stato del Congo (1885) la popolazione era dimezzata. In Rwanda e Burundi accadrà più o meno lo stesso…

 

Il tipo di colonizzazione che si svilupperà in questi Paesi avrà un impronta  fortemente cattolica, la chiesa più ancora del governo belga sarà responsabile dell’amministrazione del Paese. Nel 1925 l’amministrazione belga, ispirata al principio del divide et impera, intraprende la modernizzazione delle strutture gerarchiche rwandesi. Semplificando alcuni rapporti di potere che sembravano loro inutilmente complicati (i Tutsi sono una razza di capi. Perché dunque dovrebbero esserci capi Hutu, dal momento che la loro razza li predispone a essere comandati?), i responsabili belgi scuoteranno profondamente i delicati equilibri della società rwandese. Da ora in poi, i capi Hutu saranno progressivamente destituiti. Nel 1930 si firma l’accordo tra la Chiesa e il Belgio con il quale la Chiesa acquisisce piena responsabilità scolastica; furono chiuse le scuole statali. La Chiesa mise una prova d’ingresso per l’entrata nelle scuole, una cosa semplice: si doveva essere Tutsi, gli unici a cui potevano andare i posti rilevanti dell’amministrazione (belga). Con la scuola si “etnicizzarono” le élite locali. Nel 1931 in Rwanda il mwami Yuhi V è deposto dai belgi, in seguito alle pressioni del vicario apostolico Monsignor Classe ed è sostituito al trono dal suo catecumenico figliolo Rudahigwa (che regnerà sotto il nome di Mutara III). Da questo momento la Chiesa avrà il predominio anche sulle scelte del governo belga.

Nello stesso anno ci sarà l’introduzione della cosiddetta “carta d’identità etnica”, forse una delle 10 cose più stupide inventate dall’uomo negli ultimi due secoli. In maniera assolutamente inequivocabile e scientifica si distinguono gli Hutu dai Tutsi:


Hai almeno 10 mucche? Tutsi.

Hai il naso largo? Hutu.

Vai a scuola? Tutsi.

Tette grosse e sedere rotondo? Hutu.

Sei ricco? Tutsi.

Tuo padre e’ Hutu? Hutu.

 

L’etnia sarà inventata e istituzionalizzata, Rwanda e Burundi furono ufficialmente etnicizzati nel 1931. Si assisterà peraltro a due fenomeni divertenti: la dehutuizzazione e la detutsizazzione… termini inventati che rappresentano la facile mobilità sociale da un etnia all’altra.

 

Forse giusto fare un flash-forward (un flash back al contrario per i profani)… nel 1994 durante il più famoso dei genocidi rwandesi ai posti di blocco veniva chiesto di mostrare la carta d’identità. Hutu? Salvo. Tutsi? Morto. Misto? Nel dubbio, morto.

 

Nel 1943 si assiste ad un importante svolta: c’è il battesimo del mwami Mutara III e dei suoi capi e sottocapi, tre anni dopo il Paese è consacrato a Cristo Re.

 

Tutto sembra molto tranquillo con i belgi che istruiscono il 10% del Paese e tengono in scacco il restante 90%. Poi succede qualcosa: io mi immagino un prete, un amministratore e un commerciante belgi seduti a tavola ciucchi di birre trappiste e con un gruppo di “Olgettine negrette” a far loro compagnia. Il prete dice all’amministratore: “Cristo, ma lo sai che da qualche mese il tasso di crescita dei cattolici è diminuito?”. L’amministratore: “Ti credo vi ostinate a volere solo Tutsi. Dovremmo cambiare la tendenza”. Il commerciante: “E’ tutta una questione di marketing, dobbiamo convertire tutti gli Hutu, dobbiamo sostenere gli Hutu”. Detto e fatto. Le autorità del Belgio che si erano sempre appoggiate all’aristocrazia Tutsi per amministrare il Paese operano un’inversione di tendenza (direi un’inversione a U): d’ora in poi l’autorità belga sosterrà la “rivoluzione sociale” degli intellettuali Hutu (che reputano più facilmente manovrabili) contro le élites Tutsi.

 

In Rwanda nel 1957 viene pubblicato un documento di dodici pagine dal titolo “Note sull’aspetto sociale del problema razziale indigeno nel Rwanda”, più semplicemente il Manifesto dei Bahutu”. Questo manifesto, redatto dagli “evoluti” Hutu con l’aiuto dei Padri Bianchi, dimostra fino a che punto le élites Hutu, nella loro contemplazione dei problemi socio-politici del Rwanda, abbiano integrato gli schemi razziali importati dagli europei. I Tutsi sono presentati come individui di “razza” diversa. Il PARMEHUTU, il partito di Grégoire Kayibanda, firmatario di questo manifesto e futuro Presidente della Repubblica, spiegherà poi che i Tutsi che lo avessero desiderato sarebbero potuti rimanere in Rwanda, ma senza avere più diritti degli altri stranieri. Verrà sviluppata la teoria del “colonialismo a due fasi”. La prima sarebbe quella dei Tutsi sugli Hutu e la seconda sarebbe quella dei belgi sui rwandesi in generale. Nel testo si comprende bene come la seconda fase del colonialismo abbia in realtà salvato il paese. “Senza gli Europei noi saremmo stati condannati ad uno sfruttamento disumano e, tra i due mali bisogna scegliere il minore”, cioè il colonialismo europeo, “un colonialismo progressista e buono rispetto alla supremazia razziale dei nilotici (i Tutsi)”.

 

In continuità con il Manifesto dei Bahutu c’è lettera di Quaresima del 1959 di Monsignor Perraudin (successore di Monsignor Classe): “…Constatiamo, in primo luogo, che realmente esistono in Rwanda diverse razze abbastanza nettamente caratterizzate (…) Nel nostro Rwanda, le differenze e le diseguaglianze sociali sono, per la maggior parte dei casi, legate alle differenze di razza”. Tra il 1957 e il 1961 si ha la rivoluzione sociale e politica rwandese sostenuta dalla Chiesa. Nel novembre 1959 inizia la cacciata di migliaia di Tutsi. Il regime al potere subì una fine rapida e violenta, morirono 10.000 Tutsi e 170.000 “scelsero” l’esilio. Saranno queste le prime prove di genocidio in Rwanda.

 

 Piedone L’africano

 

PS. C’è un interessante dato che mi piace citare, ossia il numero di burundesi convertiti al cattolicesimo: nel 1910 sono solo 1.000, nel 1922 sono 15.000, nel 1937 sono 250.000, nel 1947 sono 550.000, nel 1968 sono 1.800.000, nel 1976 sono 2.300.000, nel 1986 sono 2.800.000, nel 2004 sono 4.400.000…un gran bel lavoro di evangelizzazione non c’è che dire.