Contesti radiofonici

FSM-radio

 

Amo la radio, perché quando la si ascolta si possono fare tante altre cose, tipo cucinare, guidare, lavarsi i denti, preoccuparsi che un piccolo filibustiere di un anno e mezzo in cerca di nuove esperienze non si faccia del male. Non si può dire lo stesso del computer, che richiede una certa concentrazione, e in più attira le funeste attenzioni del citato minipirata. O peggio della televisione, che nonostante si discosti molto raramente dal passare programmi che non siano altro che un mucchio di maleodorante spazzatura, finisce comunque per calamitare l’attenzione di tutto il pubblico presente. Meno ovviamente del bambino, che sceglie quel momento per colpire qualche oggetto duro e spigoloso con la sua testa.

 

La radio è ancora più bella se si pensa che non si vede come è pettinato o vestito il conduttore, ma si sente solo la sua voce. E che questa voce è l’unico strumento che il conduttore ha per fare il suo mestiere, e quindi per convincerci a non girare la rotellina di sintonia della radio alla ricerca di una stazione con un conduttore che abbia una voce più gradevole, o qualcosa di più interessante da dire. Straordinariamente, molti famosi della televisione decidono prima o poi di passare alla radio. Questo per cercare di riscoprirsi in una vesta nuova e di mettersi alla prova, dicono loro, o più probabilmente perché in televisione il loro già insignificante talento è finito schiacciato miseramente dall’arrivo di una nuova generazione di inutili personaggi con l’unico pregio di essere più volgari e arroganti dei nostri fuggiaschi, e nel caso delle donne pure meno vestite. Insomma, la radio sa anche essere generosa e offre sempre asilo a questa schiera di miserabili. Ma è anche crudele, perché se in televisione uno era famoso per delle virtù non ben definite o per la fama stessa in quanto tale, è molto probabile che alla radio crollerà sotto il peso della sua arrogante nullità.

 

Insomma, alla radio ci si aspetta che si parli di qualcosa, che si affronti un argomento. Tale argomento è molto meglio se non è solo una chiacchierata salottiera tra un conduttore senza uno straccio di idea e di talento ed alcuni radioascoltatori che chiamano per dire la loro, spinti da inconcepibili manie di protagonismo; si finisce che una trasmissione nazionale va ad assomigliare alle annoiate discussioni che si stanno svolgendo in contemporanea in tutti i bar ed i parrucchieri d’Italia. Se voglio sentire persone qualunque che parlano di un argomento qualunque in modo qualunquista, allora è meglio spegnere la radio e andare in un bar qualunque o da un parrucchiere qualunque. O alla peggio su Twitter. Dalla radio mi aspetto di ascoltare qualcosa di interessante, che possa migliorarmi o perlomeno farmi riflettere.

 

Ma la cosa veramente affascinante della radio è che per molti versi rappresenta una delle frontiere dell’informazione, almeno quanto lo è Internet. Ma con Internet è facile: chiunque può dire la sua un po’ dappertutto: sul proprio sito nel ruolo di blogger, su quello di altri se si è dei troll, o addirittura su siti predisposti per fare dire la propria a tutti, se si decide di farsi risucchiare nel vortice informativo di un social network. E’ facile essere moderni e iconoclasti in Internet. Alla radio è diverso, perché la radio è comunque molto, molto vecchia, e per quanto ogni tanto si possa chiamare per dire la propria, rimane sempre un mezzo di comunicazione ad una sola direzione, in cui un tizio parla nel vuoto di un microfono, e se è bravo e l’orario non è proprio terrificante avrà la fortuna di avere un po’ di persone dall’altra parte che si lo ascolteranno senza poter rispondergli niente. Proprio per questo motivo, verrebbe da pensare che chi parla nei microfoni della radio voglia cercare un certo conformismo, per accontentare più persone possibile. A volte è così. Ma a volte no. E la cosa un po’ stupisce, in bene.

 

Per vedere quando la radio è conformista e quando non lo è, provo a rappresentare uno stesso scenario in due realtà un po’ diverse, come possono essere il primo canale della radio nazionale da un lato, ed una radio privata dall’altro. Come momento prendiamo la mattina di lunedì 6 aprile 2015. Per definire meglio il contesto, spiego che quel giorno era festa nazionale, essendo che il giorno prima i cattolici hanno festeggiato la ciclica risurrezione del loro dio mutaforma, e quindi necessitano un lunedì intero per riprendersi dai sacri fumi dell’incenso dei loro templi e dai più profani bagordi dei pranzi di famiglia. Quindi si sta tutti a casa per un giorno.

 

culto-evangelicoScenario numero 1: Radio 1, la radio nazionale

Qui le mattine delle domeniche e di tutte le feste cattoliche comandate sono occupate in toto da ogni forma di rubrica di stampo religioso: giornalisti ossequiosi, preti, vescovi e papi si alternano con ordine e timorata reverenza per dire la loro sulla loro divinità in una gara di ossequiosa deferenza. Alcune di queste trasmissioni permettono anche ad alcuni radioascoltatori di chiamare, purché adeguatamente selezionati. Per capirci, non ho mai sentito nessuno chiamare che si professasse dubbioso, pastafariano, satanista o, peggio ancora, ateo. La telefonata assume sempre i toni di una confessione o di un atto di fede, una specie di tentativo grossolano da parte del radioascoltatore di ingraziarsi i favori del suo dio, ma operato su scala nazionale.

 

Non voglio annoiarvi a morte con un resoconto completo. Se è questo che volete, potete accendere Rai Radio 1 nella mattina di un qualsiasi giorno di festa, e vi beccate un autentico campione in tempo reale. Vi faccio un breve riassunto indolore:

 

  • Giornalista ossequioso: sentiamo se c’è qualcuno in linea, pronto…
  • Radioascoltatrice timorata di dio: buongiorno a tutti, sono Crocifissa Addolorata, e chiamo da Monte Pio. Volevo farvi i complimenti per la bellissima trasmissione!
  • Prete presente per vigilare sul buon esito della trasmissione: che dio sia con te, cara Crocifissa Addolorata!

 

e via andare tra ringraziamenti reciproci e salamelecchi vari.

 

dr-feelgoodScenario numero 2: La radio privata

Se cambiamo contesto, cambiano anche i toni. Non siamo più nella riserva religiosa protetta della radio nazionale, ma in una radio privata. Neanche a dirlo, nel lunedì indicato stavo proprio ascoltando una di queste radio: cercherò quindi di ispirarmi ad una conversazione reale. Stiamo parlando della trasmissione Buongiorno Dr. Feelgood di Virgin Radio. La trasmissione funziona più o meno così: il DJ mette i dischi e ne parla brevemente. Ogni tanto un radioascoltatore chiama. Il DJ parla di tutto in un modo entusiasta e clamoroso, forse un po’ fuori luogo per l’orario mattutino. Probabilmente si sforza di mettere un po’ di buon umore in chi per cause esterne si è alzato prima di quanto avrebbe voluto, come il sottoscritto. Oppure il nostro uomo ha un serio problema di dipendenza di sostanze psicotrope.

 

Ecco più o meno a memoria mia la divertente telefonata che ho ascoltato:

 

  • DJ: buongioooorno da Doctor Fellgooooooood! Chi sei e da dove chiami?
  • A: Ciao, sono Annunziata e chiamo da Paesopoli.
  • DJ: Ciao Annunziata! E dicci, come farai in questa domenica di pasquetta?
  • A: Beh, tra poco andrò a messa, e poi andrò a pranzo da mio padre.
  • DJ: Ah! Sei credente quindi.

 

E la conversazione va avanti, ma al nostro uomo manca un po’ del suo nativo entusiasmo. Per alcuni momenti si avverte molto chiaramente il suo disagio, come se stesse portando a passeggio al parco l’ultimo esemplare femmina di ratto cincillà boliviano, senza guinzaglio. Alla fine però il professionista ne esce con una eleganza tutta sua, mettendosi a parlare di Bruce Springsteen e di come i suoi concerti assomiglino molto ad una celebrazione eucaristica. bruce-popeAnnunziata acconsente timidamente: un attimo prima si è detta una fan del Boss, ma forse trova il paragone un po’ blasfemo, e ha paura che ad accettare il paragone in modo troppo entusiasta scatenerebbe le ire vendicative del suo dio di misericordia. O forse si sta chiedendo come sarebbe andare ad un concerto rock tutte le domeniche mattina, con Bruce Springsteen in abiti talari e la E Street Band sull’altare dell’organo al posto del tizio polveroso con la chitarra e il maglione a girocollo. Anch’io ho i miei dubbi riguardo a questo paragone: non sono mai stato ad un concerto di Bruce Springsteen, ma me li hanno sempre descritti come straordinariamente divertenti e coinvolgenti, e non conservo un ricordo del genere delle messe parrocchiali.

 

Cosa c’è di strano in tutto questo? Come prima cosa, che una ragazza apparentemente normale chiami Virgin Radio per dire che va a messa. E non con l’aria di martirio di un’appartenente ad una di quelle pseudosette cattoliche di timidi missionari da oratorio, tipo focolarine o chissà cosa, magari in un disperato tentativo di fare proseliti in un territorio ostile. Ha detto che stava per andare a messa con un tono normale, come se io chiamassi alla radio per dire che sto per cambiare la sabbia del gatto o che sto facendo un bucato di mutande e calzini. Solo che la radio è strana, perché parlare di messe non è come parlare di cacche di gatto o di biancheria puzzolente. E’ come se la radio fosse una specie di porto franco alloggiato in una dimensione parallela in cui chi va a messa e quindi crede in una antica divinità è uno stramboide mbarazzante ed imprevedibile da trattare a distanza con riguardo ed attenzione. Insomma, diciamocelo: la radio privata è un posto normale, un mass media dedivinizzato.

 

So cosa state pensando, che non tutte le radio sono così. Anzi, proprio le radio dalle frequenze iù invadenti sono quelle che sgranano rosari dalla mattina alla sera, e alternano le telefonate di pie donne preoccupate su come va il mondo agli anatemi di preti medievali scagliati contro un mondo che si ostina a non volerli ascoltare nell’ostinata ricerca a migliorarsi invece che a ad arretrare. Vero. Ma considerando l’età media di conduttori ed ascoltatori, non ci darei troppo peso: nemmeno il tempo di una generazione possa risolvere il problema da sé.

 

Quello che alla fine mi fa amare la radio molto più della sua erede degenere chiamata televisione, è che è discreta. Per usare una televisione occorre starle davanti senza oggetti in mezzo. Questo perché funzionano con le immagini, e queste non vogliono ostacoli e vanno solo dritte. Quindi con il tempo le televisioni sono diventate sempre più grandi, per farsi vedere meglio da più persone allo stesso tempo, e hanno conquistato con sempre maggior prepotenza il ruolo dominante in una o più stanze di ogni casa. I salotti ormai andrebbero chiamati “stanze della televisione”, dato che tutti gli arredamenti sono orientati intorno al grande idolo televisivo. La radio invece usa i suoni, che sono più intelligenti delle immagini. Dato che i suoni rimbalzano sugli oggetti, succede che vanno un po’ ovunque senza troppi problemi. space-odissey-monolithQuindi le radio non devono per forza stare in mezzo ad una stanza o essere gigantesche per funzionare bene. Possono stare su un comodino, sopra un mobile, in tasca. E funzioneranno sempre bene. E la qualità delle radiotrasmissioni non verrà giudicata quasi mai in base alle dimensioni dell’apparecchio che le trasmette, come accade invece per la televisione. Se impariamo ad amare la radio invece della televisione, finisce pure che evitiamo di spendere interi stipendi per ingombrare le stanze di casa nostra con dei grossi monoliti neri da adorare tutte le sere, e possiamo investire le stesse risorse di tempo e denaro in altro modo. Tipo in uno di quei rari locali che vendono ancora birra senza che l’incasso sia devoluto a chi gli vende le immagini di partite di calcio proiettate dai televisori appesi in ogni stanza.