Ricetta e filosofia della bruschetta

Uno dei miei piatti estivi preferiti è la bruschetta. Offre talmente tanti vantaggi che ho dovuto elencarli in seguito, dopo la ricetta.

La preparazione stessa poi è talmente semplice che definirla ricetta fa pure un po’ ridere: forse è più una preparazione meccanica. Ne affronterò lo stesso i passaggi chiave, nel caso voi non siate già dei bruschettatori seriali come lo sono io.

Ingredienti ovvi

Il pane da bruschetta

Il pane da bruschetta

Un po' di pomodorini

Un po’ di pomodorini

Olio

L'aglio, comprimario non essenziale

Aglio, non essenziale

Origano

Sale, per chi ha le papille gustative rovinate

 

Preparazione

Le cose da fare in contemporanea sono due: da una parte tostare il pane, dall’altra tagliare e condire i pomodorini.

Se avete un tostapane a tempo, allora potete tostare il pane in tutta tranquillità, mentre tagliate i pomodorini. Altrimenti sappiate che l’arte di tagliare i pomodorini è talmente affascinante che rischiate di rimanere assorbiti, e di dover mangiare i vostri pomodorini tagliati alla perfezione su delle fette di pane bruciato. Insomma, attenzione. Una tostatura ideale prevede un pane croccante a sufficienza da potervi grattare sopra l’aglio ma comunque flessibile, quindi non biscottato. Se è diventato come le fette biscottate che si comprano e che si rompono anche solo a pensare di volerle tirare fuori dal sacchetto, sappiate che ad ogni morso ci sarà un contraccolpo della fetta che darà lo slancio ai pomodorini per cercare di tuffarsi nel colletto della camicia dei maschietti o nella scollatura dei vestiti delle pulzelle.

Parliamo quindi dei pomodorini. Ci sono varie tecniche di taglio.

La più intuitiva è il taglio tipo salame: si afferra il pomodorino tenendolo con tutte e cinque le dita di una mano da un lato del pomodorino, cercando di non farlo scivolare nel senso opposto (cosa non facile, date le dimensioni dell’oggetto) e sforzandosi di tagliare solo il pomodorino con il coltello impugnato nell’altra mano. Dato l’elevato rischio di amputazioni, possiamo anche definire questo procedimento come la tecnica di Capitan Uncino.

Una affascinante tecnica americana è quella del doppio piatto, descritta qui: si mettono tutti i pomodorini in un piatto piano, gli si mette sopra un piatto uguale capovolto e si passa una katana giapponese tra i due. Silvan-con-biondaUn po’ come quel gioco di prestigio in cui il Mago Silvan tagliava a metà la sua bionda assistente rinchiusa in una specie di feretro. Con un solo taglio otterrete tanti mezzi pomodorini. Sempre che i vostri siano pomodorini OGM della Monsanto, tutti di identico diametro studiato per essere uguale al doppio della profondità del piatto. Se invece sono pomodorini italiani otterrete alcuni pomodorini tagliati a metà, altri appena sbucciati su in lato o affettati più o meno a caso, altri ancora interi. Se poi il vostro coltello non taglia come la spada di Goemon il samurai, facilmente otterrete un grossolano frullato di pomodoro dal lato di uscita della lama. Ah, ricordatevi che non basta tagliarli a metà: dovrete comunque riprenderli uno a uno per ripassarli in quarti o ottavi usando una tecnica più tradizionale.

Il pomodorino, protagonista della bruschetta
Il pomodorino, ancora ignaro del suo prossimo destino

La tecnica che preferisco io è quella del taglio rotante. Funziona così: come prima cosa si taglia a metà il pomodorino sul diametro, tenendolo con le dita da ogni lato.

Il pomodorino tagliato a metà
Il pomodorino tagliato a metà

Poi si prende una delle due metà e la si appoggia con la parte tagliata sul tagliere. Si afferra quindi il mezzo pomodorino di nuovo con le dita da ogni lato e di nuovo si farà passare la lama per tagliarlo ancora in due parti. Quindi si ruotano di novanta gradi i due quarti di pomodoro, li si afferra con due dita per lato, e si dà il terzo taglio, perpendicolare ai primi due.

Mezzo pomodorino tagliato in quattro
Mezzo pomodorino tagliato in quattro

Essendo che il mezzo pomodoro è sempre stretto dalle dita da ambi i lati, non servono prese scivolose e di forza per trattenerlo, e diminuisce quindi il rischio di servire ai vostri ospiti alcune parti di voi. Inoltre alla conclusione dei tre tagli state già afferrando le parti tagliate, e potete gettarle al volo nella ciotola di servizio. Ultima cosa: durante il secondo ed il terzo taglio potete far scorrere leggermente tra loro le parti lungo il taglio appena eseguito, di modo da assicurarvi che questo sia stato completo, e che non siano ancora attaccate tra loro da un pezzetto di pelle. Insomma, senza troppo sforzo si riesce a garantire un servizio eccellente in pochi secondi a pomodorino.

La ciotola dei pomodorini già tagliati e conditi
La ciotola dei pomodorini già tagliati e conditi

Una volta che avete riempito una ciotola come quella della foto, potete metterci l’olio, l’origano e se proprio volete il sale. Con una ciotola come quella della foto accanto si possono riempire circa due bruschette come quelle delle foto sopra, o quattro mezze bruschette come quella della foto sotto. Questo per evitare la spiacevole situazione di avere del pane scondito o troppi pomodorini di avanzo, e quindi degli ospiti contrariati.

Mezza bruschetta condita, pronta da infilare in bocca
Mezza bruschetta condita, pronta da infilare in bocca

Il servizio poi viene fatto proponendo all’ospite di occuparsi delle fasi finali di preparazione, che poi sono la grattatura dell’aglio sulla fetta e lo spargimento dei pomodorini. I motivi sono vari, ma principalmente che a non tutti piace l’aglio nella stessa misura, e che se lasciate troppo i pomodorini sulla fetta questi sbrodolano sul pane e vi ritrovate a servire ai vostri ospiti una specie di zuppa fredda su pane molle.

 

I vari motivi che rendono interessante questo piatto

  1. E’ divertente da preparare e consumare. In particolare la seconda cosa è importante, perché un cibo con cui il consumatore deve interagire con perizia ha il suo perché. Magari rievoca un po’ i nostri istinti di cacciatori/raccoglitori, chissà. Certo, funziona meno con gli anziani più tradizionalisti, specie se hanno il Parkinson, ma se si tratta di un aperitivo in piedi o cose del genere, allora fa la sua figura. L’abilità del consumatore non sta solo nello strofinare la giusta quantità di aglio e nello spargere dei pomodorini sopra una fetta di pane, ma anche nel dominare questi elementi mentre li si azzanna: se non si è sufficientemente attenti e capaci è facile che i pomodorini, che conservano parte della forma sferica originale, finiscano per rotolare un po’ ovunque, con grande ilarità degli altri commensali.
  2. E’ vegano. Già: se non ci aggiungete ingredienti impropri tipo mozzarella, tonno o altri derivati animali, rimane un piatto vegano, del tipo però che piace anche ai carnivori. Un piatto vegano con la straordinaria caratteristica di non avere ingredienti tristi o surrogati come la soia, il veg-formaggio, il non-uovo o così via. Potremmo definirlo un piatto vegano per sbaglio, o in incognito. Anche la birra, ricordiamo, è vegana, come la quasi totalità degli alcolici. Voglio sperare che questo punto non sia fonte di rifiuto o disagio agli integralisti della macellazione.
  3. E’ crudo (I). Quindi ad esclusione del tostapane, non dovete scaldare casa vostra accendendo forni o fuochi. D’estate è un aspetto da non trascurare.
  4. E’ crudo (II).  Altro aspetto interessante delle cose crude: non tutti sanno che molte vitamine sono delicate, e se ne vanno con la cottura. Si evita che le cose più buone rimangano attaccate alla padella o si distruggano nell’ambiente: se si mangia un ortaggio crudo lo si assimila al 100% delle sue potenzialità, Magari è il caso di lavarlo più che bene, per evitare di assimilare anche degli ospiti indesiderati. Se sono ospiti del tipo visibile il vostro piatto sarà anche più nutriente, ma non rispetta più il punto 2. Se invece sono del tipo invisibile, allora auguratevi che la loro popolazione non sia sufficiente per uccidere i vostri ospiti, o per fargli venire il mal di pancia. Vi fareste una brutta fama, e la loro sopravvivenza all’esperienza non sarà sufficiente a dargli desiderio di tornare ad essere vostri ospiti.
  5. E’ molto buono, direi buonissimo. E’ croccante per il pane, e sguscioso per i pomodorini. E’ caldo sotto e fresco sopra. E’ un piatto perfetto.
  6. E’ sano: segue alla perfezione le linee guida dell’INRAN. Non contiene grassi saturi (sempre che non abbiate comprato le bruschette in una friggitoria bavarese), non fa alzare il colesterolo. Magari non lo consiglio come piatto unico se siete in pausa pranzo e di lavoro fate il muratore, ma credo che non ci sia bisogno di dirlo.

Gli ultimi due punti in particolare hanno tutta l’aria di violare il primo postulato di Pardo, secondo cui le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare. Per questo ho dovuto aggiungere il paragrafo seguente.

Un unico motivo che rende immorale questo piatto

Mangiare bruschette in Italia è legale, e ho già detto che non fa ingrassare. Ma ci sono buone possibilità che delle persone siano morte per raccogliere i pomodorini, quindi questo piatto è immorale.

Non sempre, certo: potreste aver coltivato i pomodorini in autarchia nell’orto o sul terrazzo, imponendovi dei ritmi di raccolta non massacranti. Io li ho avuti da un’amica che è tornata dalle sue vacanze in costiera amalfitana, dove i suoi generosi parenti le hanno dato grandi quantità di ortaggi e che lei ha poi distribuito in parte agli amici polentoni; per una volta posso dire di avere la coscienza a posto: la mia bruschetta è pulita. Ma tutte quelle volte che sono andato semplicemente al supermercato a fare la spesa per comprare una bella vaschetta di pomodorini, allora non ho fatto altro che incoraggiare un mercato orribile che si appoggia sul benestare di tutti, me compreso, in una situazione del tutto simile allo schiavismo.

De-Strobel La raccolta del pomodoro 1924
De-Strobel La raccolta del pomodoro 1924

Il problema è noto, perché fa parte di quei problemi stagionali che i nostri politici risolvono all’italiana, ovvero facendo un gran polverone di promesse fino alla fine della stagione, sperando che la situazione o si risolva da sola entro l’anno seguente, o al massimo ci sia stato un cambio di governo in tempo per poter incolpare qualcun altro dell’ennesima disgrazia.

Al padiglione Italia dell’Expo sicuramente non si parla delle 13 vittime di quest’estate per la raccolta degli ortaggi del Sud Italia, probabilmente si è preferito fare leva su altri aspetti della nostra agricoltura di cui andare più fieri.

Non voglio nemmeno stare qui a raccontare queste cose già dette e scritte da tutte le parti da gente pagata per farlo, se non per dire che trovo terribile come la vita e la dignità di un essere umano pesi di meno di un prezzo finale pagato al supermercato. Come se io che compro questi pomodorini non possa essere felice di pagarli un prezzo equo, a condizione che chi li raccoglie possa farlo nel rispetto dei suoi diritti e della sua dignità di essere umano.

E non è solo una questione di pomodorini: è anche il mobile della celebre multinazionale dell’arredamento, o il pacco consegnato dal gigante americano dell’e-commerce, o il succoso panino multistrato della nota catena alimentare, e così via. Ovunque si guardi c’è un grande sistema che fa di tutto per accontentare il consumatore a spese del dipendente. Magari non è così per chi raccoglie i pomodorini, che difficilmente arrederà la sua rovente baracca di lamiera con mobili svedesi o oggetti ordinati in Internet, ma normalmente i dipendenti di un’azienda sono i consumatori dei beni o dei servizi di un’altra; mi chiedo quindi che senso abbia fare questa gara assurda sulla pelle dei propri dipendenti, e se è normale che continuiamo a premiare questo sistema che ci piace tanto quando consumiamo, ma che ci massacra quando ne facciamo parte.

Mi è passata la voglia di bruschetta.

 

Il misterioso mondo del non-vitello non-tonnato e dei suoi piccoli amici

Un paio di anni fa, alla stessa festa, ho mangiato nel giro di due sere una delle pietanze più sorprendenti, ed uno dei panini più terrificanti. La cosa pazzesca è che provenivano dalla stessa cucina, per mano probabilmente dello stesso cuoco. Un cuoco vegano.

Cosa c’era di diverso tra il primo piatto ed il secondo? Erano due categorie completamente differenti. Il piatto buono era sostanzialmente un’insalata. Il piatto cattivo era un panino alla plastica.

L’insalata era ricca e fantasiosa, piena di ingredienti affascinanti alla vista e gustosi al palato. Ogni boccone mi faceva sentire un povero ignorante che ha sempre considerato la caprese col tonno come l’insalata più buona che si potesse mai fare.

Il panino invece era qualcosa di imbarazzante e senza senso, a partire dal nome stesso. In realtà tutti i panini avevano dei nomi senza senso. Se la regola per le insalate nel menù era di elencarne gli ingredienti, per i panini doveva essere sufficiente un aggettivo: panino gustoso, panino ricco, panino creativo. Non mi ricordo bene che panino ho scelto, ma sono sicuro che io ed il mio compare abbiamo preso due tipi di panino diversi per trovarci poi nel piatto lo stesso panino, di un terzo tipo. Perché gli altri erano finiti. Già che ci sono, specifico che se abbiamo optato per dei panini accompagnati da aggettivi sospetti, era perché anche tutti gli altri piatti erano finiti. Questi panini non erano la versione fast food dell’insalata del giorno prima, ma già dall’aspetto facevano capire di voler essere un’imitazione povera ma pretenziosa di un hamburger in chiave vegana. Quello che penso ancora prima di infilarlo in bocca per iniziare a morderlo, è che la dieta vegana vuole battere quella carnivora dove la seconda è più forte. Quando lo mordo inizio a credere che questo tentativo sia un suicidio.

Già: non sono più sicuro che questo non-panino dall’aggettivo simpatico sia commestibile. Mentre mi sforzo di triturarne il contenuto con i miei allenati denti da carnivoro, ho il tempo di farmi una domanda:

perché gli hamburger classici sono così buoni?

Perché siano essi presi in una nota catena americana, che in un piccolo bar di paese, in autostrada o dal doner kebab in stazione, seguono tutti le regole sacre del panino, descritte magistralmente nel quinto libro della trilogia più spaziale di tutti i tempi. I panini fatti come si deve contengono, in ordine di importanza:

  1. uno strato di animale morto più o meno trattato
  2. una salsa ricavata in genere dai fluidi di un animale vivo o da un embrione
  3. delle verdure

 

Cosa accade se al posto del primo ingrediente ci metto, ad esempio, uno strato di cartone compresso, e al posto della salsa una sua versione a base di acqua e soia? Ricavo un oggetto che si fa fatica a chiamare cibo, e di cui il cliente vegano è il primo a starci alla larga.

E allora, mentre mi sforzavo di ingoiare questo delirio a strati, il mio pensiero andava nostalgico alla insalata del giorno prima, bella d’aspetto e deliziosa in bocca, tra il dolce della salsa, l’amaro dei semini di sesamo, e la trasgressione untuosa della fetta di torta di ceci come companatico. Perché un cuoco che è in grado di prepararmi un piatto così buono, deve tentare di uccidermi il giorno dopo? E’ la vendetta del vegano nei confronti di noi consumatori di risorse e generatori di crudeltà?

Ho dormito per alcuni mesi con questo mistero. Poi la mia amata si è iscritta ad un breve corso di cucina vegana organizzato nel circolo di alcune mie amiche. Ogni sera che tornava estasiata i suoi racconti erano per me un’esperienza unica. Apprendevo dell’esistenza di pietanze ricavate da non-animali affascinanti e misteriosi come ad esempio il non-vitello non-tonnato. Per prepararlo è necessario prima impararela ricetta della non-maionese. Attenzione che il non-uovo non impazzisca, mi viene subito da dire. Sembra che gran parte delle pietanze della cucina vegana siano delle imitazioni di qualcosa che in natura c’è già, ma con il difetto di avere almeno un ingrediente di origine animale. Come a dire che basta impegnarsi un po’, e noi vegani vi facciamo tutto quanto uguale, dalla non-carbonara al non-ragù alla bolognese, dal non-coniglio alla non-cacciatora al non-spiedo con i non-uccellini alla non-bresciana. Un tripudio di negazioni per la più nobile delle cause della cucina moderna.

Ai corsi segue una cena vegana, stesso posto, stessi cuochi. La mia metà partecipa con alcune amiche curiose. Io non posso partecipare, perché con le amiche si fanno discorsi da donne. Colgo l’occasione per bermi qualche birra (vegana, chiaramente) con un amico nel bar del circolo. Quando ormai hanno servito la torta ed in cucina stanno rassettando, colgo l’occasione per intrufolarmi a salutare le mie amiche, ma soprattutto per una chiacchierata con uno dei cuochi vegani. Neanche a dirlo, era uno di quelli della festa con l’insalata divina e il panino della morte.

Questo cuoco non è un omone grosso e pericoloso alla Long John Silver, ma un ragazzo normale che fa catering vegani con la sua ragazza. Non è nemmeno anemico, magrolino o verdastro come in genere vengono dipinti i vegani da quei carnivori che li disprezzano dall’alto della loro più suberba ignoranza. Mi è sembrato subito una persona ben disposta e ragionevole, e questo ha reso ben disposto e ragionevole anche me.

Mentre mangiavo a sbafo una buona fetta di veg-torta al veg-cioccolato, scoprendo che al posto delle uova spesso si usano le banane come ingrediente incollante, ho occasione di fargli i complimenti per le insalate vegane. Ne avevo mangiata una sola cucinata da un vegano in vita mia, ma questo non vuol dire che non mi sentivo abbastanza esperto rispetto al resto dell’umanità, al punto di potergli dire che era buonissima! Quindi, una volta che ho fatto capire che sono sì un carnivoro, ma curioso e ben disposto, posso dirgli cosa mi affligge nella vita:

“ma i vostri panini al copertone, perché?”

Credo di averlo punto nel vivo. E’ chiaro che quella sera, una volta a casa, lui stesso non avrebbe aperto il frigorifero alla ricerca di una fetta di suola di Converse affumicata con cui imbottirsi un sandwich veloce. E lo ammette: quegli strati misteriosi e resistenti alla masticazione che occupano lo strato centrale dei loro panini altro non sono che un’imitazione ricavata dagli amidi (mi sembra di ricordare) per invogliare i non-vegani a provare la cucina vegana. Quindi, come fino ad allora mi rifiutavo di pensare, sono proprio degli strati di qualcosa di derivazione industriale che si preoccupa di imitare l’aspetto, la consistenza ed il sapore del prosciutto e degli affettati in genere. Fallendo su tutti i fronti nel più miserevole dei modi. Forse è un po’ che i vegani non mangiano un panino con la bresaola e non conservano un ricordo valido, ma quella cosa che c’era nel mio panino era veramente preoccupante. Dall’aspetto ho pensato volesse imitare la bresaola, se non altro per via del colore rosso violaceo uniforme, ma una volta in bocca il pensiero è andato più ad una grossa fetta di pongo e vinavil cotta al sole.

Faccio notare al cuoco quello quello che per me che lui sa già: “pensate che ad un carnivoro possa piacere una così misera imitazione di una delle cose che gli piacciono di più in assoluto come i panini con gli affettati?” ma non serve la risposta, che in ogni caso non arriva: le rispettive donne ci riportano ai nostri doveri, ed ognuno torna a casa sua.

L’estate seguente la festa vegana si sposta dal mio paesotto alla città: il posto è meno suggestivo ma ci si sta meglio, e ci sta una cambusa più ampia: il rischio che ti portino il panino sbagliato è minore. Ci vado con lo stesso amico dell’anno prima e con il mio primogenito, nato nel frattempo. Dal menù saltiamo a piè pari la sezione dei panini, per scegliere due gustose insalate vegane condite accompagnate da due altrettanto gustose birre artigianali. Dal momento che gli alcolici di regola sono vegani, sarò sempre ben disposto verso queste feste del cibo bestia-free. E anche qui ne usciamo più che contenti. Lo stesso pirata da passeggino apprezza le pietanze a tutto tondo, al punto che alla fine lascia pure indietro lo yogurt, e tocca finirlo a me. E per la prima volta in vita mia faccio la figura del vegetariano, ma nessuno ci dà peso.

Passano i mesi, e in un centro commerciale della città apre nientemeno che un fast food vegano. E’ di un franchising che risponde al nome di Universo Vegano. Dobbiamo mangiare prima del cinema, e passiamo a vedere cosa propone. E, accidenti a loro, mi ritrovo a precipitare di nuovo nei miei incubi a base di veg-imitazioni di carne e affini. Il menù l’ho preso, ma poi mi dava fastidio e l’ho buttato via. Fortunatamente qualcuno più bravo di me ne ha fatto alcune scansioni qui, che riporto.

 

Le veg-pizze e i veghiotti, tutti conditi col misterioso formaggio vegetale
Le veg-pizze e i veghiotti, tutti conditi col misterioso formaggio vegetale

 

I veg-panini e le veg-focacce, a base di veg-formaggio e di gustosa maionese vegetale
I veg-panini e le veg-focacce, a base di veg-formaggio e di gustosa maionese vegetale
I veg-contorni ed i veg-dolci, finalmente qualcosa di normale
I veg-contorni ed i veg-dolci, finalmente qualcosa di normale

E mi chiedo, ma funziona davvero allora questa roba? C’è davvero qualche carnivoro che si converte al veganesimo a colpi di veg-formaggio e prosciutto artificiale? Possibile che sia così difficile fare un menù in cui non ci sia almeno una pagina priva di qualche ingrediente simil-carnivoro per cercare invece di esplorare le meravigliose possibilità di una ricca dieta a base di vegetali?

A quanto pare sì, è molto difficile. Meglio proporre autentiche veg-prelibatezze a base di non-ingredienti quali:

  • il tonno vegetale (dove vive? Viene pescato negli orti più incontaminati usando dei veg-grissini come arpione?)
  • il salame vegetale bio
  • il würstel vegetale, probabilmente chiamato così perché ottenuto tritando molto finemente gli scarti di altre lavorazioni vegetali
  • il kebab vegetale, o vebab: immagino si tratti di una torre rotante di verdure miste progressivamente arrostite e tagliate. Questo, lo ammetto, sembra interessante.
  • il prosciutto veg, con tutta probabilità il copertone violaceo che mi sono ritrovato nel piatto un paio di anni fa. L’unico prosciutto che non va a male se lo si lascia fuori dal frigo per dei mesi.
  • la frittata vegetale, ovvero la frittata senza uova. non si faceva prima a dire che è una torta fatta con gli ingredienti che contiene? (es: torta di ceci, torta di soia…)
  • il filetto di lupino, che anche se la parola filetto fa pensare che sia ricavato da piccoli lupi, con ogni probabilità è fatto in realtà con i famigerati legumi dei Malavoglia.

Tutto quanto con la chiara intenzione di battere i carnivori proprio là dove sono imbattibili.

Quante sono le insalate proposte in questo ricco veg-menu? Una, un unico degno elemento di una categoria fatta apposta, che riposta quindi  il nome al singolare: INSALATA. Come si chiama quest’insalata solitaria? Ma ovviamente Vegan Salad. Cosa c’è dentro? Il meglio che si può offrire ad un carnivoro in disintossicazione; tra le varie cose, tonno veg, formaggio veg e, ovviamente, l’immancabile soia.

Quella sera un’insalata me la sarei mangiata volentieri. Forse ho sbagliato, ma alla fine mi sono ritrovato a mangiare un non-veg-hamburger da un’altra parte, fatto di autentico animale morto. Con i fast food vegani se ne riparlerà quando avranno capito un po’ di cose.

Condividi questa Coca Cola con…

Bevi la Coca Cola, che ti fa bene! Per forza ti fa bene: è ricchissima di energie! Pensate, da una fonte ufficiale come può essere il retro di una lattina da 33, scopro che fornisce addirittura il 38% del fabbisogno energetico giornaliero! Praticamente se dopo aver aperto una lattina di Coca Cola intendo anche bermela tutta, posso fare a meno direttamente di mangiare, perché ho già abbastanza energie per arrivare al pasto successivo.

 

Certo, se si segue una dieta di soli zuccheri semplici senza il benché minimo apporto di quelle altre cose che sono le proteine, i grassi, i sali minerali, le fibre alimentari o le vitamine ci sono un po’ di effetti collaterali sul nostro organismo, ma non voglio star qui a descriverli. Qualcuno addirittura si è preso la briga di misurare e di riportare dettagliatamente quello che accade dentro al nostro corpo quando si beve una Coca Cola. Sono tutte cose un po’ particolari e alcune anche decisamente divertenti, in particolare quelle che causano un’occulta dipendenza. Leggete tutto, se vi va, io non voglio essere noioso a ripetermi.

 

Devo però fare una precisazione: per certi versi la Coca Cola può apparire come eccessivamente energetica o addirittura dannosa per noi pigri uomini e donne moderni, dato che ormai siamo poco avvezzi a consumare ingenti quantità di energie arrampicandosi sul sartiame di un’imbarcazione, assaltando all’arma bianca città della costa o praticando altre salubri attività all’aria aperta. Al giorno d’oggi anche la pirateria viene praticata seduti davanti ad un computer e di energie se ne consumano molte di meno. Da qui l’evidente proposta dell’azienda di bibite gassate: condividi la tua Coca Cola con qualcuno!

 

Condividila con un diabetico, per esempio: Condividi questa Coca Cola con un diabetico

 

O anche con un obeso:


Condividi questa Coca Cola con un obeso

 

O, meglio ancora, con il tuo peggior nemico: Condividi questa Coca Cola con il tuo peggior nemico

 

Per conto mio, dato che per quanto possibile cerco di evitare di rientrare in queste categorie sociali, mi asterrò completamente dal consumare Coca Cola. Anche perché la mia ferrea dieta pastafariana a base di birra e pasta un po’ me lo impedisce.

 

Sia chiaro che le immagini qui sopra sono elaborate al computer, e che tali versioni non sono al momento disponibili in commercio, e per quello che mi è dato di sapere non esistono proprio. Forse lo saranno più avanti, quando le stesse regole esistenti per i prodotti dell’industria del tabacco verranno applicate anche a quella delle bevande zuccherine, ma per adesso non se ne fe niente. Scrivo questo prima che i legali della multinazionale della citata bevanda analcolica, che ha risorse economiche più elevate delle mie, possa averne a male e decida di investire parte di queste risorse in un tribunale contro di me.

Il Flying Spaghetti Monster non fa le pentole e nemmeno i coperchi

Commedia in due atti

con venditore di pentole AMC alla regia e nel ruolo di attore protagonista

FSM in pentola

Poco tempo fa io e la mia amata abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di essere invitati ad un evento sensazionale: una presentazione di pentole AMC presso una coppia di amici.

L’invito è arrivato dal mio amico con una telefonata diverse settimane prima, per di più con un velo di mistero. Roba tipo:

“Alberto, vi invitiamo ad una serata a casa nostra per una cosa che riguarda molto la tua scuola, non ti vogliamo dire niente di più, ma siamo sicuri che ti interesserà molto.”

L’alone di mistero già rendeva affascinante l’evento. Ho pensato fosse una nuova versione domestica di una cena con delitto, ma dopo alcune vaghe e circospette affermazioni del nostro amico abbiamo intuito che doveva trattarsi di una presentazione di un qualche prodotto della cui validità il nostro ospite era fermamente convinto. Al punto di credere di farci un grosso favore invitandoci a casa sua, e che i miei tre anni di scuola alberghiera mi sarebbero stati ancora più utili per confermare quanto a lui era già stato spiegato. Questo genere di inviti in genere mi fa un po’ innervosire, ma la mia amata mi ha detto di non preoccuparmi, che in ogni caso sarebbe stata una bella serata con amici e che ci saremmo sicuramente divertiti. Con l’unico accordo reciproco tra me e lei di “non comprare niente!”.


Abbiamo quindi confermato la nostra presenza, ansiosi di assistere a questo evento esclusivo.

La sera prevista ci presentiamo, già nutriti, a casa dei nostri ospiti. L’atmosfera è elettrizzante: il tavolo della cucina è stato spostato da un lato della stanza, ed è ricoperto con una elegante tovaglia di velluto blu. Sopra di questa una serie di tovaglioli dello stesso colore nascondono oggetti misteriosi e affascinanti, e subito il mio pensiero corre a dei prototipi miniaturizzati della prossima Ferrari di Formula 1. Accanto alla tavola c’è un cavalletto, e ai bordi della stanza, a semicerchio, le sedie su cui a breve prenderemo posto. Su due di queste già c’è una coppia di amici in comune, che salutiamo cordialmente. In piedi a dominare tutta la scena ci sono i due giovani conduttori della serata, riconoscibili dai completi studiatamente casual ma non troppo: camicia neutra, giacca ma non cravatta, jeans ma non rovinati, scarpe a punta. Il tutto per dirci: “siamo gente per bene, e gente come voi, cari amici presenti, e non volgari venditori che vi hanno attirato con l’inganno e con l’ignara complicità dei vostri amici in una trappola per farvi il lavaggio del cervello e convincervi a comprare oggetti di cui non avete bisogno ad un prezzo assolutamente fuori mercato. No: noi siamo sono come voi”.

I due venditori si presentano. Prima quello che chiameremo Giorgio, poi l’altro che chiameremo Piero. Giorgio parlerà molto nel corso della serata, mentre l’ultima parola che dirà Piero sarà proprio il suo nome durante la presentazione. Salvo brevi interruzioni, la sua funzione sarà quella di puntellare il frigorifero per evitare che in caso di rottura di un piedino possa rovinare sugli ospiti.

Giorgio parte subito a farci capire quanto lui sia effettivamente come noi: infatti la presentazione inizia con una inattesa digressione: l’azienda di cui si vanta di fare parte, la AMC, va a gonfie vele, perché i suoi clienti sono felici, i prodotti validi ed i venditori hanno un successo altissimo ogni volta che mettono il naso fuori della porta. A dimostrazione di questo Giorgio ci mostra alcuni grafici ed un paio di vedute aeree di una fabbrica in Germania che ci rassicura che qualsiasi cosa stia per essere pubblicizzata non è prodotta in Cina, autentico spauracchio industriale temuto da tutte le persone per bene. Ed infine l’annuncio: la AMC cerca personale in zona: per far fronte alla grande mole di lavoro decine di persone devono essere rapidamente assunte. Sì, abbiamo sentito bene: anche noi, o qualcuno che conosciamo, può rapidamente entrare in questa grande famiglia, e garantirsi un futuro con un lavoro costruito portando la felicità alla gente, come Giorgio e Piero stanno facendo adesso con noi. Insomma, ancora non so bene dove andranno a parare, ma le premesse sono assolutamente delle migliori.

Finalmente si entra nel vivo. Giorgio gira il foglio e si scopre il motivo per cui questo sabato sera non sono in un’osteria a bere birra: sto partecipando ad una presentazione di pentole. Ma di pentole di grande qualità: sono fatte in Germania, ma le vendono in tutto il mondo. Una serie di pallini distribuiti in un planisfero non vuole ricordarci la presenza di mine antiuomo nel mondo, ma l’efficiente capillarità di questa florida società. Grafici gagliardi delle pentole in sezione mostrano una serie di frecce colorate che vanno nelle direzioni migliori, formando alcuni voluttuosi yin e yang rossi e blu della termodinamica. Uno alla volta i tovaglioli di velluto vengo alzati per mostrare quelle che a prima vista appaiono come normali pentole o coperchi, ma di cui Giorgio rapidamente spiega le eccezionali caratteristiche, uniche al mondo. Di ogni componente o accessorio vengono decantate le doti stupefacenti, accompagnate dal nome roboante che ufficio marketing della AMC ha scelto per racchiudere nel modo migliore l’alta tecnologia di questi prodigi della tecnica. Cose come i manici studiati per non ustionarti, o il fondo incredibilmente tecnologico, o il coperchio con il termometro sopra, o il cronometro sonoro che ti chiama quando la pasta è cotta. Oggetti che sono talmente evoluti da parlarsi tra loro: il termometro parla col fondo, e confrontano le temperature. Poi le comunicano al cronometro, a cui è stato impostato dal cuoco umano il tipo di pietanza. Il cronometro quindi decide se mettersi a suonare o no, per richiamare l’attenzione del cuoco sul procedere delle sue cotture. Un po’ come il pentolame e umanizzato che ho visto in almeno tre film della Walt Disney.

torta magica della bella addormentata

Ma chi mai comprerebbe un oggetto solo perché un astuto presentatore ce ne ha decantato le lodi? Nessuno. Ed infatti Giorgio ci anticipa che a breve gli uomini delle tre coppie invitate (uno sono io) verranno chiamati a cucinare. La frase di Giorgio è ammiccante, e ovviamente procura tra le coppie presenti l’ilarità attesa. Si parte infatti dal presupposto assodato che qualsiasi uomo in cucina ha la stessa grazia e disinvoltura di un rinoceronte in una merceria, e che se questi trogloditi riescono a produrre qualcosa di commestibile con un sapore anche lontanamente decoroso, significa che queste pentole sono davvero miracolose.

E’ difficile però dimostrarsi dei giovani Gualtiero Marchesi, quando come compito mi viene chiesto solamente di prendere un petto di pollo da un piatto e di appoggiarlo sul fondo di una pentola. Ma nonostante l’imbarazzo di sentirmi osservato e giudicato credo di eseguire il compito senza troppi problemi. Giorgio mi ringrazia e mi chiede di riaccomodarmi.

Il nostro amico dell’altra coppia ha un compito simile: deve spostare delle verdure già pulite e tagliate da un contenitore ad una seconda pentola. Lui non è preparato come me, ma con l’aiuto di Giorgio riesce lo stesso nell’impresa senza far cadere a terra alcun ortaggio. A Giorgio il compito più difficile: con teatralità taglia una pera in due metà, e ne mette una in pentola con le verdure. Ci viene detto che scopriremo più avanti il significato di questo gesto arcano. A me che ho letto almeno quarantadue volte Le avventure di Tom Sawyer, il pensiero vola al sistema per togliersi le verruche dalle mani tagliando a metà un fagiolo e nascondendone una delle due parti.

Si prospetta anche un riso alle verdure. Giorgio si ostina a chiamarlo risotto, forse perché suona meglio, ma a casa mia se voglio un risotto come prima cosa devo fare tostare il riso, e ogni altra cosa la chiamo riso bollito o come mi pare, ma non risotto.

Non voglio interrompere Giorgio con questi inutili dettagli di teoria della cucina italiana perché è lanciatissimo, e già ci anticipa che nel giro di pochissimi minuti potremo gustare il suo ottimo non-risotto. Ma roba tipo sei minuti, e non i classici quindici – venti minuti di attesa che, Giorgio lo sa bene, nella frenesia della vita moderna tendono ad essere troppi. Perché il nostro tempo è prezioso. Ma comunque abbiamo diritto a mangiare sano!

La salute è importante per Giorgio, e ce lo fa notare continuamente mentre il suo non-risotto cuoce: vuole essere sicuro che lo sia anche per noi. A scanso di equivoci ci chiederà anche di stimare quanto vale per noi la salute in una scala da uno a dieci. La domanda è difficile, di quelle che fa molto pensare, ma alla fine tutti concordano per il dieci. Ogni coppia scrive il numero dieci nell’apposito quadratino di un fogliettino colorato che ci è stato dato. Questi dati serviranno probabilmente per una statistica presso gli uffici tedeschi della AMC, dove un’equipe di brillanti analisti li elaborerà e ne trarrà importanti conclusioni, che verranno esposte al consiglio dei soci per decidere le politiche future della multinazionale.

Perché Giorgio insiste tanto sulla salute, e non, che ne so, sul colore delle pentole? Ma perché le pentole che ci sta mostrando sono senza ombra di dubbio le migliori in assoluto in questo campo. Infatti cuociono tutto quello che vogliamo senza usare grassi: né olio né burro. Caspita. Sono pentole studiate per far girare l’aria all’interno in un modo così mirabolante e a temperature così attentamente controllate che non si brucia mai niente: tutto cuoce benissimo senza i temuti grassi aggiunti, e dato che non si usano liquidi conduttori viene da sé che tutte le proprietà nutrizionali ed organolettiche degli alimenti rimangono all’interno. Magari non proprio tutte, come continua ad insistere Giorgio, visto gran parte delle vitamine di cui parla tanto al minimo accenno di calore se ne vanno senza troppi complimenti. Ma perlomeno i sali minerali sì: quelli saranno ancora lì, e non saranno finiti nell’acqua di cottura e che poi alla meglio va nel vaso dei gerani, o alla peggio nel buco del lavandino.

Fosse solo quello della perdita di sali e liquidi il problema! No: in realtà Giorgio, con fare cospiratorio, ci dice una cosa che purtroppo già sapevo: l’antiaderente è cancerogeno! Cioè, non proprio l’antiaderente, ma la colla che usano le grandi multinazionali del padellame per fissare il teflon alle padelle. Adesso infatti che si inizia a sapere in giro, tutti i produttori stanno cercando di svuotare i loro malvagi magazzini di morte rifilando pentole antiaderenti con infinite promozioni, sapendo che quanto prima la gente sarà costretta a passare alla ceramica. Ma, c’è un ma! Giorgio ci anticipa l’orrenda verità: le pentole in ceramica sono anche peggio, perché anche lì viene usata la stessa colla che c’è nelle antiaderenti. Accidenti, che brutta prospettiva. Se non approfitto subito di quello che Giorgio sta per propormi, morirò in ospedale di una morte orribile, come padron ‘Ntoni dei Malavoglia.

Aci Trezza

Vogliamo fare la prova? Presto fatto: Giorgio chiede un padellino antiaderente pulito e ci fa bollire un po’ d’acqua. Quindi con un gesto elegante versa in contenuto in un bicchiere. L’acqua è decisamente torbida: molti piccoli corpi biancastri sono in sospensione nel bicchiere. LA conclusione di Giorgio è tranciante: è l’antiaderente che è andato nell’acqua! E’ come bere un bicchiere di piombo sciolto nel mercurio, e noi cuciniamo con queste antiaderenti tutti i giorni! Io ho contestato la cosa, facendo notare che l’acqua che bolle cambia la sua capacità di trattenere i sali disciolti, e possibilmente quello che si vedeva non era teflon e colla in sospensione, ma piuttosto qualche cosa già presente nell’acqua ricca di calcare che esce dai nostri rubinetti. Giorgio non ha perso la calma di fronte alla mia sciocca contestazione, e si è diretto a grandi passi verso di me porgendomi il bicchiere e pronunciando parole hanno atterrito la platea: “E allora, la berresti?” Diciamo che ero più preoccupato di dover bere dell’acqua bollente, che non dei misteriosi corpi in sospensione. Questo perché, teflon o no, non passa giorno che io non assuma dei cibi che sono passati da una padella antiaderente, per non parlare di tè e tisane varie. Non credo che un bicchiere avrebbe fatto la differenza. Ma Giorgio mi impedisce di morire lì sul colpo ritirando all’ultimo momento la mano che mi porge il bicchiere, e spiegandomi con parole sue che il mio sarebbe stato un sacrificio inutile. Oltre che probabilmente la perdita di un possibile cliente. La sua spiegazione è però abbastanza minimale, per non dire ridotta ad una sola parola: “fìdati”. Già, molto professionale: dopo tre anni di scuola alberghiera in cui si alternano professionisti della ristorazione e dell’alimentazione ad insegnarmi cosa è giusto e cosa è sbagliato in cucina, è chiaro che io debba fidarmi di un ragazzo con le scarpe a punta che in una serata mi racconta una bella storia sulle pentole che vuole vendermi, e che zittisce le mie obiezioni con un “fidati”. Va bene, Giorgio, mi fido.

Oltre al risotto Giorgio fa partire la cottura delle verdure. Qui decide anche di fare una prova comparativa, e per far questo si abbassa a compiere un gesto che chiaramente lo ripugna profondamente: ricorre ad un pentolino della nostra padrona di casa per far bollire delle carote.

Mentre le cotture marciano, Giorgio inizia a spiegarci che non è solo questione di nutrimenti. Cosa viene dopo la salute, quando si parla di cucina? Ovviamente il sapore! E la conseguenza di una sana cottura che trattiene nell’alimento i migliori nutrimenti è un alimento più buono: il sapore non se ne andato nell’acqua dei gerani insieme ai suoi sali, e noi avremo modo tra poco di verificare personalmente come questo sia vero. Ci viene chiesto quindi di segnare quanto vale per noi il sapore quando si parla di mangiare, sempre con la stessa scala che va da uno a dieci. Qui non volevamo apparire dei viziosi, dando al sapore lo stesso punteggio che abbiamo dato alla salute. Cerchiamo quindi di dare un buon punteggio, credo otto, giusto per non complicare troppo la vita allo staff di scienziati tedeschi che valuteranno le nostre scelte.

Ma se fosse finita qui, sarebbe ancora semplice. Eh no! Cosa viene dopo la salute e il piacere di una buona pietanza? Ovviamente il risparmio! Soprattutto di questi tempi. E cosa diciamo se scopriamo che l’intelligenza sopraffina di queste pentole ci permette di risparmiare il gas, dato che lavorano sempre a coperchio chiuso e ottimizzando la distribuzione del calore? Diciamo che magari non diamo dieci come alla salute. Facciamo otto, come al gusto. Ecco fatto: un otto, a pari merito.

Tra una pentola e l’altra Giorgio trova il tempo di stupirci con una serie di prodotti corollari. Come la macchina del sottovuoto, per esempio.

pistola sottovuoto

Qui Giorgio ancora una volta dà sfoggio del suo fine umorismo, proponendoci di indovinare cosa possa essere quella specie di pistolone di plastica che ha appena estratto da sotto uno dei suoi tovaglioli blu. Giorgio lo propone spiritosamente come un aspiratore da tavole che trasforma le briciole raccolte in gustose polpette. La battuta divertente aiuta a rompere il ghiaccio, e quindi i nostri  tentativi, sebbene infruttuosi, sono tutti abbastanza spiritosi. Per conto mio mi trattengo dal dire che mi sembra un intrusore anale per esuberanti presentatori di pentole.

Dopo il sottovuoto, che ci permette di risparmiare un po’ di soldi semplicemente impacchettando per bene tutto quello che non mangiamo e mettiamo il frigo, arriva il turno di una specie di piastra termica elettrica. La sua estrema funzionalità sfiora il grottesco, quando Giorgio inizia a cuocere le cose mettendo la piastra sopra la pentola al posto del coperchio, e il coperchio capovolto sotto la pentola, come supporto. La tesi di Giorgio è di mostrarci come anche il forno diventi inutile e dispendioso, quando si dispone di queste tecnologie. E consuma pochissimo! Tralascio i dettagli scolastici di termodinamica, per cui per quanto possa essere efficiente, è comunque un generatore elettrico di calore, e se pretende di essere così veloce a cuocere, significa che forse non è il caso di accenderlo quando sto facendo andare anche la lavastoviglie. Trovo però il tempo di obiettare che mi sembra strano che io possa fare proprio tutto quello che facevo in forno con quella bizzarra e pericolante struttura futurista. Ma Giorgio è pronto a farmi capire quanto mi stia sbagliando, pronunciando ancora una volta la parola “fìdati”.

Non ci sono più domande, meno male, perché puntuale come solo una sveglia da coperchio sa essere, il risotto è pronto: il simpatico suono del cicalino montato sul coperchio ci fa venire già l’acquolina in bocca.

Finalmente entra in campo la professionalità di Piero, che abbandona temporaneamente la sua posizione strategica a ridosso del frigorifero per distribuire con prontezza ed abilità i piatti porzionati da Giorgio. Il parere all’assaggio è unanime: questo risotto è decisamente ottimo! Le verdure sono saporite e croccanti, ed il riso è cotto alla perfezione. E tutto in soli sei minuti, senza l’aggiunta di grassi! La giuria approva a pieni voti.

Al riso segue il petto di pollo cucinato senza grassi e aromi, per mostrare quale possa essere il vero sapore di un pollo se trattato nel modo ideale. Piatto non senza insidie il pollo, facilmente reso stopposo da una cottura eccessiva. Ma niente paura, perché la cottura intelligente non sbaglia: il suo sapore è gradevole, e le carni morbide.

Segue quindi il piatto di verdure miste. Queste offrono spunti diversi. Abbiamo diversi ortaggi, che nonostante abbiano tempi di cottura diversi, escono tutti perfetti dalla pentola. Veramente interessante. Si apprezza in particolare il paragone con le carote che Giorgio ha bollito nel pentolino col metodo classico. Mentre le carote fatte con le pentole AMC risultano saporite e croccanti, quelle bollite sono assolutamente molli, brutte a vedersi ed insapori. Complice probabilmente il fatto che sono state bollite tre volte più del necessario, magari. Io mi astengo dal mangiare carote bollite o comunque cucinate: sono infatti della vecchia scuola dei conigli e le carote le amo crude e croccanti, dal sapore ricco e con tutte le loro vitamine al posto giusto.

 

carota

 

Noi forse ci stavamo dimenticando della pera, ma non Giorgio. Con sagace maestria estrae la mezza pera dimenticata dalla pentola, ma non per farcela assaggiare, ma per ricongiungerla alla sua dolce metà cruda. E sorprendentemente, le due metà combaciano perfettamente. Ergo: la pera cotta non ha perso niente, si è cotta senza disperdere liquidi e nutrienti. Sorprendente: è la dimostrazione che finalmente potremo comprare una pera e cuocerla e sapere che ce la mangeremo tutta, senza lasciare niente di ciò che abbiamo comprato a quel puzzone del bidone dell’umido o ai gerani. Non che mi aspettassi che una pera cotta in una pentola col coperchio chiuso si disidratasse come in un forno, ma credo che questa dimostrazione fosse da estendere a un po’ tutti gli ortaggi cotti. E magari non alle pere, che la gente normale in genere mangia crude anche più delle carote.

Dopo una cena così sana, gustosa e straordinaria, Giorgio intende cavalcare il nostro entusiasmo aiutandoci a tirare le somme. Ancora ci chiede di ribadire il valore che diamo alla salute, al gusto ed al risparmio. Per l’ennesima volta il pubblico recita la sua filastrocca, asserendo che sono tutti e tre molto importanti. Mentre interpreto la mia non difficile parte nella recita, il pensiero va subito a cercare di immaginare se qualcuno si sia mai sbagliato, dicendo che della salute non gliene può fregare di meno, perché lui mangia solo pizze surgelate, e quando esce va solo da McDonald’s. E magari anche che le sue verdure cotte gli facevano schifo, perché quelle del McVerdur Menu sono molto più gustose e saporite. Chissà come reagirebbe Giorgio ad un individuo del genere. Probabilmente ricorrerebbe a qualche procedura non standard per le emergenze, chissà.

Non capisco come mai Giorgio non tira fuori l’argomento spinoso, ovvero il costo di tali meraviglie. Anzi, si prodiga a parlare di regali e possibilità che ci vengono offerte se noi decidessimo di offrirgli la possibilità di tenere una serata analoga casa nostra. E qui veramente ci ingolosisce, perché come prima cosa fa scegliere alla padrona di casa un prezioso oggetto tra un piccolo assortimento. Roba di classe, come un set di coltelli, un thermos di acciaio, una minicentrifuga manuale per fare la maionese e chissà cos’altro, o anche dei portaspezie (senza spezie). Poi ci dice che ovviamente lo stesso accadrà a noi se volessimo a nostra volta mettere a disposizione casa nostra per invitare tre o quattro coppie di amici per una nuova presentazione. E, sorpresa delle sorprese, se una di noi tre coppie presenti dovesse davvero fare questo, automaticamente la coppia che ci ha ospitato la prima volta riceverà un ulteriore regalo di quelli mostrati! Subito Giorgio chiede quindi alla padrona di casa quale secondo oggetto gradirebbe ricevere, per questa eventualità. Mentre la nostra ospite sceglie il suo eventuale regalo di cui Giorgio prende nota, io ripenso alla golosissima offerta: basta rinunciare a tre ore della propria vita e alla credibilità che godo presso tre coppie dei miei amici, ed in cambio riceverò uno, ma forse anche due oggetti esclusivi di cui ho avvertito subito il bisogno non appena li ho visti, per valore stimato al fornitore che così a occhio va dai cinque ai dieci euro. Ma scopriamo che non è tutto: se di coppie ne vengono quattro e non solo tre, avremo in regalo una vacanza “fuori di testa”, dice Giorgio: a scelta nell’ampio catalogo che ci viene fatto passare rapidamente di mano in mano da Piero, il presentatore muto. Potremo scegliere di andare in un residence tendenzialmente in Italia per una settimana! Proprio la vacanza dei miei sogni, vero. Devo solo riconsiderare per un attimo la mia idea di vacanza dei sogni, ma va benissimo lo stesso. Giorgio è anche onesto: ci fa sapere subito che le spese delle donne delle pulizie nel residence non sono comprese, e che alla fine del soggiorno da sogno, sia questo nella Valle dei Templi come ai piedi delle Dolomiti, ci verrà chiesto un piccolo contributo di qualche decina di euro per questo servizio.

Giorgio ci tiene a spiegarci il perché di tutti questi regali. Semplice: perché la AMC è una azienda che va bene. Ma anche onesta e amica dei suoi numerosi e affezionati clienti. E quindi preferisce distribuire una buona parte dei suoi utili tra le persone che gli accordano la fiducia. E quale modo migliore che non regalare un po’ di utili regali e vacanze in posti esclusivi?

Giorgio non parla di prezzi e di costi, ma di risparmi. E di grossi risparmi. Perché le sue pentole aiutano a risparmiare. Cosa che a noi interessa, perché sul fogliettino che Giorgio ci ha dato abbiamo messo otto come voto al risparmio. E Giorgio ci chiede di compilare un’altra parte di questo fogliettino. C’è un elenco di quattro voci, ben quattro, che ogni coppia deve compilare personalmente, anche se seguiti da Giorgio. Perché è importante che noi manifestiamo la nostra opinione esprimendo le nostre idee sul risparmio domestico, e il fogliettino per la raccolta dati è fatto proprio per questo. Ma Giorgio ci tiene che la nostra opinione sia quella corretta, e ci indica quindi con precisione quale deve essere il valore giusto che noi decidiamo di mettere in ogni casella.

 

 – Primo punto: il gas usato: ne va molto di meno. E via qualche euro. Giorgio è generoso e modesto: arrotonda sempre per difetto, ed il qualche euro al giorno diventa magicamente un euro al giorno, se non ricordo male. Fanno 30 euro al mese. Non poco. 30 euro di differenza tra la gestione sprecona di una pentola tradizionale e quella ottimizzata di una pentola AMC.

Il conto però è un po’ discutibile, visto che sovrastima leggermente il consumo di metano in cucina rispetto ad altre voci, come il riscaldamento della casa o dell’acqua per lavarsi. Basti pensare alla differenze delle bollette del metano tra estate ed inverno per capire un attimo se consuma di più una caldaia o un fornello. Al momento lasciamo correre, visto che Giorgio sta già affrontando di petto il punto due, ma poi mi prendo la mia bella bolletta del gas di aprile e faccio due conti. Il riscaldamento era già spento e ci semplifica i calcoli. Il totale in consumi di metano è di 16,52 euro. Mezzo euro al giorno, e non uno, e stiamo parlando solo di consumi, e non della differenza tra usare una pentola ed un’altra. Comprensivo inoltre dell’acqua calda usata per le docce più o meno frequenti di due persone. Forse Giorgio fa una stima per famiglie numerose munite di forno a gas, con numerosi biberon da sterilizzare, conserve di frutta e verdure fatte in casa, bollitura di vestiti ad uso di sterilizzazione e chissà cos’altro. Mi riservo di chiederglielo, la prossima volta che lo vedo, visto che per risparmiare trenta euro con le sue pentole, dovrei arrivare a spenderne almeno trenta con le mie. Per intanto, considero questa piccola differenza di stime come almeno venticinque euro al mese che NON risparmiamo.

 – Secondo punto: le pere non si disidratano e non perdono sali minerali e vitamine, quindi sono più nutrienti, quindi ne mangiamo di meno. E non solo le pere, chiaramente: tutto quello che cuciniamo. Stima di Giorgio: il 20% della nostra spesa mediamente subisce disidratazione. Quando andrò la prossima volta da salumiere, potrò ordinare una salamina il 20% più piccola, senza temere di morire di fame.

Qui non solo io, ma un po’ tutti facciamo timidamente notare più volte che molti cibi non sono necessariamente soggetti ad una cottura in pentola che ne faccia perdere il peso. E la loro lista è lunga, non credo che basterebbe un frigorifero.

Stiamo parlando di:

   – insalata

   – salame e affettati in generale

   – pasta (che al contrario il peso lo acquisisce)

   – polenta (stesso della pasta)

   – liquidi in generale quali birra, vino, acqua, latte, rum, succhi di frutta, gazzosa, grappa, grog, caffè, te, tisane, infusi eccetera

   – formaggio, sia grattugiato che da pasto, quando non impiegato in cottura

   – farine varie, che non potrebbero perdere mai l’acqua che non hanno

   – pane

   – cibi confezionati pronti all’uso come patatine, chips al formaggio, pop corn, piadine, bruschette, arachidi tostate, pistacchi, grissini, sfogliatine, merendine, eccetera

   – mais da pop corn

   – salse, marmellate, conserve e creme varie, dolci e salate, come la celebre crema di nocciole, la maionese, la salsa tartara, rosa, verde, cocktail, al rafano eccetera

   – croccantini del gatto, perché anche il gatto fa parte degli abitanti della casa, e anche per lui sosteniamo delle spese alimentari

   – cibo del cane, per chi ha il cane e non gli dà solo gli avanzi

   – mangime per criceti, pappagalli, pesciolini rossi e di altri colori, conigli ed altri degni esponenti del mondo animale

   – tartara

   – il pesce marinato, o più in generale tutte le preparazioni di pesce che non implichino la cottura

   – biscotti e prodotti confezionati per la prima colazione

   – tutta la frutta con l’esclusione delle mele cotogne, ovvero l’unico frutto che mi sembra ricordare che di regola vada fatto al forno, quindi grande perdita di peso

   – carote, che io mi ostino a mangiare crude, quindi né stracotte né vaporizzate, e gran parte degli ortaggi che possono fare a meno di passare da una padella per essere commestibili, come i pomodori, il sedano, alcuni tipi di cipolla, i ravanelli, i peperoni, l’aglio quando viene grattugiato sulle bruschette e non messo nel soffritto, e altre verdure che non ricordo

   – verdure precotte e inscatolate, come i fagioli o i piselli

   – mais precotto ed inscatolato ed i suoi simili

   – tonno, sgombri, alici ed in generale ogni forma di pesce o di frutto di mare in scatola

   – uova

   – caramelle e gomme americane

   – cioccolatini e prodotti vari confezionati a base di cacao

   – gelati e ghiaccioli

   – torte confezionate

   – spezie e gli aromi, ovviamente se usati a fine cottura o a crudo

   – olio usato a crudo, che quindi non rimane in padella

Oltre a ciò dovremmo considerare il fatto che già da tempo esiste la cottura al vapore, e da tempi più recenti anche quella al microonde. Quindi ci sono molti altri alimenti qui non inclusi, come carne, pesce, verdure, patate e prodotti dell’orto in generale, che possono essere cotti senza perdita di peso anche senza le pentole AMC.

Così a occhio, se guardiamo la lista di alimenti qui sopra, c’è qualcosa di più del 20% della spesa. Banalmente mi sembra di capire che gran parte degli alimenti che compriamo non passa necessariamente in una padella a rilasciare acqua e nutrimenti. Ma questo Giorgio lo sa, ed infatti insiste col dire che il 20% è proprio la quota che va a tener conto di questi alimenti che non perdono peso. E gli altri alimenti che perdono peso, allora, quanto ne perdono? Non riesco più a capire bene: sono il 100% degli alimenti che perdono il 20% del peso, o il 20% degli alimenti che perdono il 100% del peso? Non è chiaro, ma ancora una volta Giorgio ci aiuta, draconiano: è il 20%. “Fidatevi”. Grazie Giorgio.

Quanto viene stimato al mese questo risparmio fiducioso? mi sembra di ricordare un po’ meno di un centinaio di euro, più o meno. Non male.

 – Terzo punto: non si usa più il burro e l’olio in cottura. Calcolo presto fatto. Via qualche euro anche lì, ovvero la spesa mensile in grassi da cottura. Se poi siamo anche tra quelli attenti alla salute che preferiscono i grassi insaturi e salutari dell’olio a quelli saturi e colesterolici del burro, ci rendiamo conto come il risparmio è ancora più elevato, dato che un litro di olio extravergine di oliva costa molto di più di un panetto da un chilo di burro.

 – Quarto punto: non mi ricordo bene, ma potrebbe essere il fatto che non compreremo più una pentola in vita nostra. Anche questo è un risparmio. Non so se l’ho già detto, ma le pentole che Giorgio ci ha mostrato sono garantite 30 anni!

I quattro numeri vengono sommati, e otteniamo il risparmio mensile. Magari la memoria mi ha ingannato sui parziali, ma il totale me lo ricordo bene: 115 euro, come il numero da chiamare in caso di cotture eccessive. Ed è sorprendente come cambiare l’efficienza del pentolame in cucina possa farci risparmiare ogni mese queste cifre.

C’è da dire che i 115 euro sono comprensivi delle leggere sovrastime dei punti uno e due, vero. Ma i nostri amici padroni di casa, già fortunati acquirenti, ci dicono che attendono con ansia la prossima bolletta, come prova lampante dei conti fatti da Giorgio. Per conto mio non mi ricordo di aver mai atteso con ansia una bolletta, ma dato che non è la mia, chiedo di essere gentilmente tenuto informato.

Giorgio ad un certo punto ci aiuta a capire meglio le sue intenzioni quando asserisce di aver bisogno di dimostrare alla sua azienda di aver tenuto una serata con i presenti. Per fare questo, deve farci compilare un modulo con i nostri dati anagrafici, uno per coppia. La compilazione di questo modulo inspiegabilmente deve avvenire presso la casa di ognuno di noi. Ma come? Non può farlo qui? Siamo tutti presenti e pronti, e lui si ritroverebbe la sua provvigione a serata, risparmiandosi anche di dover andare tre volte in giro per la provincia nei giorni a seguire. Quanto stima Giorgio da uno a dieci il risparmio di carburante? E il valore del suo tempo libero la domenica? E il nostro tempo libero, visto che l’intrusione domestica a brevissimo preavviso di un semisconosciuto non compare nell’elenco delle cento cose più piacevoli da fare nel proprio tempo libero? Insospettito chiedo a Giorgio se per caso lui non prenda provvigioni sul venduto, e se questo inatteso secondo incontro non centri proprio con un tentativo di vendita mirato alla coppia. No, non è così. Lui viene pagato solo per le serate di presentazione, e non su quante pentole vende. Fìdati.

Una volta appurato questo, parte la grande gara allo scantonamento. Le altre due coppie cercano di svignarsela verso la domenica sera, ma Giorgio non si fa spaventare, e dimostra grande disponibilità nei suoi orari. Noi di conseguenza tastiamo il terreno per vedere quanto Giorgio sia mattiniero. Ma qui ci frega alla grande, e siamo i primi a cadere nella sua trappola: appuntamento fissato a casa nostra per le nove e mezza di mattina. Gioisco mostrando i denti: la nostra prevista gita domenicale è parzialmente rovinata. Giorgio segna sul suo taccuino, e poi torna quindi rapidamente ad occuparsi delle due coppie di fuggiaschi. il terreno di battaglia sembra spaziare anche sul lunedì, ma la nostra coppia di amici ha sfruttato il tempo di distrazione di Giorgio intento a scrivere nel taccuino per concordare tra loro una astuta manovra a sorpresa, ovvero di fissare l’appuntamento ad appena mezz’ora dall’orario dell’altra coppia. Tempo in teoria più che sufficiente a Giorgio per firmare il foglio di presenza, unico scopo del secondo incontro. Giorgio tentenna un attimo, e questo temporeggiamento sembra far capire che serva più di mezz’ora per scrivere due dati anagrafici sopra un foglio di presenza. C’è forse dell’altro che non ci hai detto, Giorgio? Ma alla fine si salva in calcio d’angolo, dicendo che anche se le due case sono nello stesso comune, lui preferisce non prendere appuntamenti troppo vicini, perché sarebbe poco professionale. L’ultima cosa che vuole è fare troppa fretta mettendo a disagio le persone che incontra, il tutto solo per un suo semplice tornaconto di comodità personale. Per la nostra coppia di amici è la resa: evidentemente ponevano tutte le sue speranze nell’arma dell’incontro ravvicinato, e senza questa possibilità devono cedere all’ostinazione del vincitore, Giorgio, a cui rilasciano per terzi indirizzo e numero di telefono.

L’aspettativa per la giornata a venire è abbastanza bassa, come se tutte e tre le coppie presenti avessero subodorato qualcosa di strano e poco lineare nella necessità di questo secondo incontro. Ma Giorgio crea subito aspettativa parlando di un progetto ambizioso: “tenete con voi il fogliettino che vi ho lasciato, perché AMC potrebbe realizzare il sogno della vostra vita!” Eh, sì, usa proprio queste parole, il sogno della nostra vita. Che AMC sembra seriamente intenzionata a soddisfare. Un po’ penso ancora alle vacanze in residence dell’inizio, ma non può essere: Giorgio ha parlato proprio del sogno di una vita, e un settimana in un residence pulizie non comprese io la chiamo più una piacevole vacanza di relax. Chissà cosa salterà fuori da questa cosa. Nel mio caso so già quale è il mio sogno: avere una nave pirata con base a Montisola, per veleggiare e compiere imprese piratesche nel lago d’Iseo, da Lovere a Clusane. Spero vivamente che la AMC voglia aiutarmi a realizzarlo.

Nave pirata del lago di Garda

L’unica  nave pirata presente al momento nei laghi bresciani, al momento alla fonda presso Castelnuovo del Garda

Seguono saluti, strette di mano e forzati arrivederci. Poi appena fuori dell’uscio di casa si improvvisa una brevissima riunione estemporanea non supervisionata da Giorgio e Piero tra le tre coppie invitate: siamo tutti contenti della cena buona e salutare, ma siamo tutti un po’ perplessi riguardo a queste cifre misteriose, a dire la verità. E facciamo delle prove di OK il prezzo è giusto per cercare di indovinare il costo di quanto visto.

La mattina dopo Giorgio irrompe in casa nostra, con l’aria di uno che non potrebbe essere più a suo agio ad autoinvitarsi a casa di sconosciuti la domenica mattina. Ho conosciuto dei testimoni di Geova più educati e rispettosi. Piero non c’è, ma la sua assenza non sembra condizionare troppo l’incontro.

Giorgio inizia rifiutando cordialmente un caffè, nonostante io abbia sottolineato che per farlo avrei usato una caffettiera non antiaderente. Mentre ci accomodiamo ci scappano due chiacchiere amene sul suo leggero ritardo, dovuto all’ennesima gara di ciclisti intenti a paralizzare il traffico domenicale della gente per bene e di Giorgio. Esaurito il rito dei convenevoli necessario a far finta che la sua sia una visita di cortesia, ritorniamo rapidi a dove eravamo rimasti la sera prima, giusto per essere sicuro che la notte non ci abbia fatto dimenticare quanto dichiarato nell’incontro precedente. Giorgio ci chiede di ripetere le nostre dichiarazioni su quanto per noi sia importante mangiare sano, gustoso e di risparmiare mentre lo facciamo. Ancora una volta. Inizio ad essere un po’ irritato: accade spesso dopo che mi viene posta la stessa domanda in un breve intervallo usando un tono da teletubbies. Giorgio facilmente non è pratico a leggere le espressioni facciali, e prosegue imperterrito a farci recitare i suoi ragionamenti guidati.

Il ripasso viene per nostra fortuna esaurito abbastanza in fretta, così come la compilazione del foglio di visita: teoricamente lo scopo della sua visita è terminato. Ma dalla grossa cartelletta che Giorgio maneggia si capisce che siamo solo all’inizio perché, chi l’avrebbe mai detto, Giorgio non fa solo le presentazioni, ma è autorizzato dalla sua azienda anche a proporci l’acquisto dei suoi pregiatissimi prodotti!

Ma niente di quello che fa Giorgio è prevedibile. Magari ho pensato che potesse tirar fuori un bel listino patinato dalla sua borsa di Mary Poppins per sventolarcelo minacciosamente sotto il naso, ma non avrei potuto sbagliarmi di più. Ed infatti avviene proprio il contrario: è Giorgio a chiedere a noi quale pensiamo che sia il valore (o il prezzo? c’è una bella differenza tra le due cose) dei suoi prodotti. Come riferimento per la nostra stima c’è un classico dépliant con foto di gruppo dei meravigliosi oggetti in classica formazione a ventaglio. Gli oggetti di corollario come le macchine del sottovuoto, il pentolame speciale, le piastre elettriche o i cronometri fischianti contornano la squadra principale, a lasciare una cerca ambiguità su cosa sia incluso o meno in ogni offerta, e quindi in quella che dobbiamo fare noi al volo. Non è molto facile fare una stima, visto che si parla di una massa di oggetti non indifferente: tra pentole, coperchi, supercoperchi, sottovuoti ad altre cose che poco ricordo. Ma forse non siamo così gonzi, visto che una ricerca in Internet siamo riusciti a farla tra un incontro e l’altro. Anche se sembra a prima vista che Internet tuteli i prezzi AMC con il segreto di stato, basta sviscerare qualche blog non ufficiale o qualche asta online per avere una idea indicativa. Se quindi era previsto un momento in cui dovevamo spaventarci di fronte a queste cifre, questo è accaduto in assenza di Giorgio, nella calma notturna tra i due incontri. E qui non vorrei dire scemate, ma così a occhio, facendo una stima proprio un tanto al chilo, mi sento di dire che riferito all’oggetto pentola più coperchio si parla di circa circa un buon cinquecento o seicento euro. Stima fatta molto ma molto alla buona, e mai sull’oggetto singolo. Se si compra AMC, si compra in massa.

Giorgio insiste: vuol sapere la nostra idea del costo/valore di questo ben di dei. La mia amata rompe per prima l’impasse, e spara sui tre o quattromila euro il pacchettone. Io sto basso, perché va bene tutto, ma, che diamine, sono solo pentole. E anche un po’ per tirare su un prezzo che ancora non è dato sapere. Dico un duemila o un po’ di più. Giorgio ovviamente ci guarda come se già sapeva che sia io che lei avremmo risposto così.

Finalmente arriva qualcosa che possiamo chiamare prezzo, anche se annegato in un mare di salsa a base di rate non ben definite per tempo, tassi e durata. Non che Giorgio non ci abbia fatto vedere tali valori, ma il problema è che fin dall’inizio della serata precedente, tutto ciò che Giorgio mostra e dimostra tende ad essere abbastanza fugace, e così come nelle nostre mani e ai nostri occhi si materializzano velocemente volantini, grafici, numeri e dimostrazioni, così scompaiono senza lasciare traccia, se non un’idea confusa e vaga nella nostra memoria. Per me che sono abituato ad uscire dalle fiere e dai concessionari di automobili con carriolate di volantini che poi in genere uso per accendere il fuoco, questo modo volatile di fornire informazioni mi risulta abbastanza faticoso, anche se è in linea con quell’idea di grande segretezza che aleggia intorno all’AMC. Se avessi saputo che era così, credo che mi sarei munito di matita e blocco degli appunti, o dei più moderni occhiali da guardone.

Mi sembra di ricordare che la rata proposta da Giorgio fosse qualcosa come 80 euro al mese, su tre o quattro anni. O forse c’erano diverse soluzioni, più o meno ardite, in base alle esigenze di ogni coppia. Lo so che c’è una bella differenza tra 80 euro al mese spalmati su tre o su quattro anni, ma mi sorprende già di essermi ricordato tutte queste cose. E la differenza non è poi così significativa, visto che stiamo parlando di una cifra completamente assurda contrapposta a una stratosferica. Di tutte le brevi permanenze alla vista delle informazioni fornite da Giorgio, quella delle rate ha fatto il record assoluto. Lesto come un consumato venditore, Giorgio ha ripreso subito il controllo del discorso tornando al suo cavallo di battaglia, ovvero che basta usare queste pentole per risparmiare 115 euro. Ancora. Basta prendere per buona questa affermazione, che già sappiamo che qualsiasi rata inferiore a 115 euro al mese ci procura un risparmio immediato, sia essa anche una rateizzazione di 110 euro per trent’anni! Questo per convincere gli irriducibili come me che pensano che il giorno in cui dovrò fare un mutuo pluriennale per comprarmi un set di pentole significa che sono proprio messo male.

Inoltre quando Giorgio ci ha elencato i vari oggetti inclusi nella sua di offerta, non è stato facile capire cosa fosse effettivamente incluso, cosa fosse un regalo eccezionale, cosa veniva messo dentro con un ridicolo contributo e cosa invece godeva di offerte straordinarie di durata brevissima. Devo dire che se l’intenzione di Giorgio era quella di far sentire i suoi ospiti dei perfetti idioti a disagio nella loro stessa cucina, ci è riuscito veramente bene. Col senno di poi credo che avrei preferito, per citare il Manzoni nel primo capitolo di Promessi Sposi, di accarezzargli le spalle per insegnargli la modestia, o come direbbe una qualsiasi altra persona meno letterata, di indicargli la direzione della porta con vigorosi calci nelle terga. Ma sicuramente anche se non ci sono state né carezze né calci, non mi ha certo ben disposto ad alcun acquisto.

Ma abbiamo già fatto notare come Giorgio fosse impermeabile a qualsiasi espressione facciale avversa. Dicendogli che non intendevamo fare un mutuo per delle pentole ammettevamo implicitamente di essere degli idioti, perché solo dei subnormali masochisti non approfitterebbero della fortuna che ci veniva offerta. Ma lui mostra la pazienza tipica degli educatori di animali, e prova ad ingolosirci con nuove opportunità eccezionali. Tra queste sono sicuro che c’era l’aggiunta di un pentolone dal fondo ovale, prezzo di listino 800 euro (con o senza coperchio pensante?), che a noi sarebbe stato regalato. Ma questo è niente rispetto all’opportunità che ci offre in seguito: se rottamiamo tre padelle antiaderenti lui ci fa uno sconto su tutto del 30%! Questa è grossa, e trattandosi di un risparmio e non di una spesa Giorgio è veloce a scriverlo bello in grande, davanti a noi. Siccome credo di ricordare una cifra intorno ai 1200 euro, deduco che il prezzo totale sia di 4000 euro.

Nemmeno questa offerta è sufficiente a smuovere me e la mia signora dalla nostra ostinata stupidità. Questo imbarazza un po’ il povero Giorgio, che si trova costretto a ripetere e a farci ripetere prima la filastrocca della triade “salute, gusto e risparmio”, e poi quella dei 115 euro. Compare una nuova frase ambigua: “se ve le regalassi, le usereste?” Beh, sì, che scoperta. E via di nuovo a farci capire che tutte queste cose ad un prezzo così di favore lo si può considerare di fatto un regalo.

Inizio ad essere stufo di Giorgio nella mia cucina, e Vorrei che se ne andasse. Credo che ormai le sue padelle non le prenderei nemmeno se me le facesse pagare dieci euro. Quindi alla sua ennesima pretesa che noi dovessimo accettare la sua generosa offerta, esco con un classico: “ci dobbiamo pensare”. Mi sembra una affermazione verosimile detta da una persona che la sera prima non sapeva nemmeno il motivo di un invito a casa di un amico, e che in meno di dodici ore gli viene chiesto di stipulare un mutuo per comprare degli oggetti di cui non aveva avvertito il bisogno. Cosa ribatte Giorgio? Che non è possibile pensarci, perché, incredibile ma vero, l’offerta della rottamazione, che mi lasciava in tasca un migliaio di euro in più, non sarà più disponibile. E’ una offerta in cinque esemplari, generosamente donata dalla AMC, ma due di queste possibilità sono già andate, e Giorgio dubita seriamente che ci siano ancora l’indomani. Quindi Giorgio, fammi capire: se dovessi chiamarti tra tre giorni per dirti che ho deciso di comprare le tue pentole, facilmente dovrai dirmi sconsolato che devo pagarti per intero i 4000 euro? Già, è così. I 4000 euro li valgono tutti, per carità! Ma l’occasione è unica e irripetibile.

E’ incredibile: faccio notare a Giorgio come lui abbia dichiarato chiaramente più volte che si sarebbe introdotto in casa nostra solo per farci compilare il suo fogliettino della presenza, ed è qui e chiedermi dei soldi, possibilmente con una decisione istantanea, su due piedi. Proprio lui, che ancora una volta ci ripete di non prendere provvigioni sul venduto. Ci dice che se ha fatto questo era solo perché abbiamo la fortuna sfacciata di poter approfittare delle già dette offerte, e non per altro. Che fortunati. Normalmente se ne sarebbe andato lasciandoci l’incombenza di cercare bramosi il numero verde della AMC sull’elenco delle pagine gialle.

Tornano a fare la loro comparsa viaggi ed altre opportunità del genere, ma francamente non mi ricordo più nemmeno se era un modo di Giorgio per ricordarmi cosa accadeva se avessi voluto invitare quattro coppie di amici a casa mia, o se c’era anche un qualche viaggio compreso nel regalo. Forse era una manovra disperata di Giorgio, che inizia a capire che il suo ruolino di presentatore di pentole verrà rovinato dalla nostra ottusa ostinazione di non comprare niente. Per invogliarlo a prendere prima possibile la direzione della porta sfoderiamo un coro dei più classici “ti faremo sapere”. E finalmente Giorgio è di nuovo nel posto giusto, ovvero fuori di casa nostra.

Conclusioni, più di una:

  1. Meglio un morto in casa che un venditore alla porta.
  2.  Se volete invitare qualcuno a lasciare rapidamente casa vostra, agitare nervosamente un oggetto contundente di uso quotidiano, sia esso un matterello, uno sparachiodi o un martello da dio vichingo.
  3. Non fidatevi di una persona che trae guadagno dalla fiducia stessa, soprattutto quando come unica argomentazione ha la parola “fìdati”
  4. Non fidatevi degli inviti a sorpresa dei vostri amici. O, come direbbe Piero Pelù: “Non voglio più amici, voglio solo nemici“.
  5. Se avete un dubbio su un acquisto, pensate sempre a cosa farebbe Tex Willer in questi casi. O, meglio ancora, Henry Morgan, Edward Teach o qualsiasi buon pirata che si rispetti.

 

 

Ricette Pastafariane.. o forse no

Lavorando in un istituto alberghiero, sono continuamente a contatto con cuochi indaffarati e creativi, che si danno un gran da fare a perpetrare i segreti della buona cucina e perchè no, a volte ad inventarne degli altri, spinti dal più sano spirito di innovazione, che in quel campo come in tanti altri, può decisamente far la differenza! Col passare degli anni, mi sono reso conto in prima persona (anche se quanto dirò è abbastanza ovvio) che è sempre più difficile stare al passo con la concorrenza, e le idee non finiscono mai di stupire! Direi, che dopo aver letto questo articolo ripreso dal blog “risposte cristiane”,  converrete anche voi che la mia decisione di evitare il dolce quando sono a cena da amici cristiani, è del tutto giustificata. Vedere un crocifisso appeso sopra la porta della cucina di un ristorante, da questo momento mi fa un certo effetto… Arrrgghhh

http://rispostecristiane.blogspot.it/2012/10/una-ricetta-per-amore-di-gesu.html

christian recipes for dummies

Tiramisù pastafarian-piratesco all’ananas

Alcune parole, poi la ricetta

Antica tradizione piratesca è quella dell’ospitalità: quando si invita non si chiede niente, e se l’ospite insiste gli si propone la componente alcolica o il dolce. Quando si viene invitati si insiste per la classica ‘bussata coi piedi’: non sia mai che un pirata varca la soglia dell’abitazione di un compagno di scorribande per un invito, senza che le mani siano colme di libagioni!

Questa la premessa. Insomma: io e la mia amata veniamo invitati a cena da una coppia di amici. Già al telefono mi propongo per una ricetta nuova di cui mi ha parlato con grande entusiasmo un’altra coppia di amici. Lei come artefice, lui come consumatore. Sto parlando del classico tiramisù all’ananas.


Ricetta che non ho mai avuto il piacere né di fare né di mangiare. Ma proviamo.

Non volevo però disturbare colei che mi ha portato al’attenzione la ricetta: ha avuto una bimba ieri, e facilmente avrà altro da fare che non dettarmi una ricetta al telefono. Ebbene sì: anche noi rozzi bucanieri non siamo immuni da rare delicatezze. Gliela chiederò domani, in ogni caso: passeremo a trovarla, lei e a bimba.

E allora si va nell’oceano internettiano e si seguono le istruzioni. Supermercato per il mascarpone, la panna, l’ananas e la birra (l’ultima non è per la ricetta, è per l’ispirazione del cuoco). Il resto degli ingredienti è già in cambusa che aspetta il suo destino. Rompi, sbatti, mescola, stratifica e disponi. Ed ecco! Appare Colui Che Tutto Dispone Con Spaghettosa Asimmetria! La mia mano, che d’ora in poi non potrò più lavare se non nella birra benedetta, è stata inconsapevolmente guidata nella disposizione dell’ultimo strato di ananas verso l’ennesima dimostrazione della Sua Divina Esistenza!

Grande il mio stupore, ma conoscendo la nota abitudine del Signore del Carboidrato ad apparire nei momenti più impensabili, porto sempre con me una macchina fotografica carica. E con questa ho immortalato la Sacra Apparizione, affinché l’apparizione non serva solo a me, già devoto seguace, ma anche a tutti quelli che ancora hanno bisogno di vedere per credere. Qui di seguito la ricetta, perché anche voi possiate fare questo in memoria di Lui.

Ingredienti!

1) Uno scatolotto di mascarpone, di quelli da mezzo chilo.

2) Un bel po’ di ananas a fette sciroppato. Magari anche più di una latta.

3) Uova. Facciamo cinque.

4) Zucchero di canna, che è più salutare di quell’altro che viene sbiancato con il dentifricio avanzato nei tubetti che buttate nella spazzatura. Non è che siccome siamo pirati dobbiamo per forza farci del male ogni volta. Dai.

5) I noti biscotti usati per il tiramisù che non si dovrebbe dire la marca ma che di fatto si chiamano così perché li fa solo una marca, di cui sono anche il diminutivo. Se non l’avete ancora capito copiate questa roba bianca compresa qui di seguito tra i due trattini

Pavesini! Ci voleva tanto!?

e incollatela da un’altra parte, tipo nel blocco note del vostro computer. Apparirà magicamente il nome del prodotto, come quando si usa l’inchiostro simpatico per le mappe del tesoro.

6) Panna liquida. Non dico quanta ne serve, perché in ogni caso verrà buttata via tutta, visto che immancabilmente sbattendola si autoscompone in una cosa viscida e sbavosa, totalmente inservibile. Se siete più astuti di me, potreste anche pensare di fare direttamente a meno di prenderla.

Procedimento!

Prendiamo dall’antello il robot col braccio che monta. Dobbiamo montarci la panna e i tuorli delle uova, quindi iniziamo dalla panna, visto che è bianca ed è più facile che sia lei a sporcarsi di tuorlo che non i tuorli a sporcarsi di panna. Vai con la frullata! Distraiamoci un attimo ed iniziamo a rompere un paio di uova, facendo attenzione a separare i tuorli dagli albumi. Dopo due uova ci giriamo per accorgerci che la panna, da cosa liquida e di aspetto decoroso che era, si è duplicata in una serie di grumetti bianchicci e in un liquido di brutto aspetto. Ecco: è da buttare. Cerchiamo di buttare tutto nel lavandino, ma questa Cosa ha già via propria e non vuole andarci, nel buco del lavandino. Preferisce propagarsi sui fornelli e sul piano di lavoro, o più semplicemente ignorare la forza di gravità e rimanere aggrappata al contenitore o risalire la propria mano esasperata, per cercare di infilarsi sotto la maglietta. Se proviamo ad usare una spugna, questa diventerà rapidamente complice della Cosa, e propagherà minuscole colonie di Cosa in tutti i posti in cui cercherò di usarla.

Dopo una strenua battaglia a colpi di rotoloni di carta, si riesce a spostare le ambizioni espansionistiche della Cosa verso il cestino dello sporco. Riconquistando la fiducia della spugna, ormai liberata, riusciamo a riprendere il controllo della cucina.

Ci si chiede a questo punto come si può rimpiazzare la panna nella ricetta. Andiamo al mercato a prendere una sola altra confezione di panna liquida? No dai. Ma ci viene in mente che avevamo giusto da parte gli albumi delle uova, perché il bravo cuoco pirata delle uova butta via solo i gusci. E a volte nemmeno quelli. Chissà. Riprendiamo la ricetta.

Finiamo di separare i bianchi dai rossi. Poi facciamo coi bianchi quello che abbiamo tentato di fare prima con la panna mutante. Stavolta non succede niente di imprevisto: gli albumi da opachi traslucidi diventano bianchi e spumosi. Bello: questa variazione mi affascina sempre, quando non cerca di uccidermi.

Spostiamo la spumosità in un altro posto, diamo una pulita sommaria al contenitore del robot e ci mettiamo i tuorli con un po’ di zucchero di canna, tipo cinque o sei cucchiai. E via a mescolare di nuovo. E dopo un po’ ci buttiamo dentro il mascarpone, un po’ alla volta. Qui non aumenta di volume, ma diventa bello cremoso, di un giallo tenue anche invitante. Potete anche assaggiarlo, se volete, così magari vi regolate con lo zucchero. Se invece provate ad assaggiare gli albumi montati, potrete apprezzare il sapore più inutile della cucina, insieme ad una consistenza decisamente fastidiosa. D’altra parte, non ha nemmeno molto senso assaggiare un composto che composto non è, dato che è fatto solo di un ingrediente. Meglio assaggiare la crema giallina fatta di tuorli e mascarpone, che dovrebbe avere un sapore più decente. Se non è così, credo sia meglio che la buttiate e ne facciate un’altra da capo.

Quando la crema di mascarpone è bella omogenea, tiratela fuori dal contenitore del robot e mettetela in una bella ciotola capiente. Poi un po’ alla volta ci buttate sopra a palettate un po’ di albumi montati, mescolando con la celebre e misteriosa mossa “dalll’alto verso il basso”. Ovvero prendendo palettate di crema gialla e buttandola delicatamente sopra alla roba spumosa bianca. E poi mescolando. E via così finché non ci sono più una spuma bianca e una crea giallina, ma solamente una crema, di un giallo ancora più chiaro.

Finalmente possiamo impossessarci del barattolo di ananas. Evitiamo magari di appoggiarlo sul piano di lavoro: considerate che queste latte, data la loro leggendaria impermeabilità a tutto e tutti, spesso e volentieri prima di arrivare nella vostra cambusa stanno in posti non dei più puliti. Quindi meglio tenerle lontane da tutto il resto. L’avete appoggiato già appoggiato nella crema?  Pazienza.

Aprite il nefasto barattolo. Non buttare via lo sciroppo che ci serve. Mettete lo sciroppo da una parte e le fette da un’altra, o lasciatele nel barattolo.

Vai ora con i biscotti Pavesini. Li passiamo al volo nello sciroppo dell’ananas e via nel contenitore che abbiamo scelto per presentare il nostro tiramisù. Li disponiamo in modo da coprire la maggior superficie possibile.

Poi un bello strato di ananas, fatto a pezzettini piccoli. Quindi vai con la malta gialla che abbiamo fatto prima.

E ancora: biscotti, ananas a pezzettini e crema gialla. Ad libitum, o almeno finché uno dei tre ingredienti non viene a mancare, o il tiramisù non raggiunge altezze inquietanti. Ricordatevi solo di tenere un po’ di fette di ananas per la decorazione superficiale, altrimenti i vostri commensali non avrebbero indizi per capire che quello che hanno di fronte è un tiramisù all’ananas e non una pirofila piena di una sostanza semisolida gialla.

E a questo punto, se avete fatto tutto come si deve, anche voi avrete composto la Sua Mirabile Immagine sulla superficie del dolce! Passate nella pellicola il contenitore e infilatelo in frigo per qualche ora, a benedire con la Sua Meravigliosa Presenza gli altri ingredienti.

Gustate freddo.

Pasta al Pesto Pirata

Chiacchiere inutili

Tradizionale ricetta piratesca mediterranea, famosa per essere preparata con l’uso di un mortaio, facilmente reperibile in una qualche forma su qualsiasi vascello pirata che si rispetti, al posto delle più noiose padelle. Gli ingredienti stessi come basilico, formaggio pecorino, polvere da sparo e aglio, la rendono particolarmente amata da ogni bucaniere, che vedono nel fitto intreccio verde degli spaghetti l’ennesima prova dell’esistenza di sua spaghettosità, anche se qui in abito estivo.


Ingredienti

– Pasta, ovviamente. Meglio lunga. Per le pulzelle in genere un po’ di meno, tipo dagli ottanta grammi all’etto. Per noi pirati affamati di più, a piacere.

– Pesto. Che va fatto, non comprato. Per fare il pesto servono un po’ di ingredienti:

– Basilico. Fresco. 25 grammi per un paio di etti di pasta. Perché sia fresco va colto più tardi possibile, meglio ancora se con una razzia da veri bucanieri nell’orto del vicino. La narrazione di tale impresa allieterà i vostri commensali durante il pasto.

– Olio di oliva. Mezzo etto per un paio di etti di pasta.

– Formaggio grattugiato, grana o pecorino, o meglio ancora un mescolotto dei due: 50 grammi per due etti di pasta.

– Pinoli: facili da trovare, specie nei Caraibi. Sette o otto grammi possono bastare.

– Sale, pepe, polvere da sparo: secondo il vostro gusto.

Preparazione

Occorre unire tutti gli ingredienti, meno che la pasta, che va bollita alla solita maniera.

Quindi, iniziamo a mettere su l’acqua. Magari abbondante, tipo un litro per ogni etto di pasta che pensiamo di buttarci dentro di lì a poco.

Preso il basilico? Bene. Meglio non lavarlo troppo, o la parte migliore se ne va insieme allo sporco. Magari lo passiamo garbatamente con qualcosa di bagnato, giusto perché se ci chiedono: “ma hai lavato il basilico?” noi rispondiamo di sì, senza mentire. Oppure dite di non averlo lavato, giusto per il gusto di dire una bella balla da autentico filibustiere.

L’ordine con cui unire gli ingredienti nel pesto è rigorosissimo, ma a me già a sentire la parola rigore viene un po’ male. Siamo pirati, non ufficiali inglesi! Quindi io, invece del noioso mortaio, ho preso un bel frullatore come quello che la banda Fratelli vuole usare per portare alla confessione Chunk nel piratesco film dei Goonies.

Frullare solo il basilico offre poca soddisfazione: è leggero e non viene stagliuzzato come vorremmo aspettarci dalle lame. Tutto diventa più divertente una volta che ci abbiamo buttato tutti gli altri ingredienti, secondo la sequenza dettata dall’ispirazione del momento. Evitiamo solo di buttarci la pasta, che va buttata nell’acqua bollente, e la birra. Quella è per il cuoco. Se si siete dimenticati di aprirvi una birra rimediate subito: l’alcol aiuta cucinieri e cambusieri, migliora la sopportazione alla bruciature, è un pronto rimedio contro tagli occasionali di dita e arti, ed fa sentire più vicini alle generazioni e generazioni di cuochi alcolisti che si sono avvicendati sulle navi di tutto il mondo.

Se tutto è andato come si deve, dovreste ottenere un pesto che ha l’aspetto simile a quello che si compra, ma più buono. Il basilico frullato sarà un pelo più stressato rispetto a quello macerato nel mortaio, ma sarete voi ad essere molto meno stressati, e più pronti a scambiare battutacce con i vostri compagni di bevute.

Oh: se l’acqua bolle, salate il giusto. Assaggiate sia il pesto che l’acqua, non fate le cose troppo a caso. Poi vai con la pasta.

Alla fine, quando la pasta è cotta giusta, la si tira fuori, e la si condisce col pesto, meglio se di fronte agli altri esterrefatti bucanieri. Quindi cercate di essere più teatrali possibile, accompagnando il mescolamento con un’espressione concentrata e con ampi gesti delle braccia. Ricordate: la presentazione è metà del piatto. Mescolato? Bene: vai con lo spiattamento. Hanno avuti tutti il loro piatto? Meno male, si evita il casino di dover prendere un po’ di spaghetti da ogni piatto: peggio che andar di notte.

Ecco il piatto che ho fatto io. Ci ho messo sopra anche due inutili foglie di basilico, giusto per fare il di più. Sai che sforzo: sono anche di colore diverso. Scusatemi: sarà stata la fame.