Un’idea bella e apocalittica per un film brutto e apocalittico

Uno dei drammi dell’estate per noi bresciani che non siamo andati in vacanza, oltre alle pantere vagabonde e ai regolamenti di conti tra gentiluomini, è trovare un film decente al cinema. Scorrendo l’elenco dei film proiettati nelle varie multisale speranzosamente aperte, trovo però un film che promette di essere veramente straordinario. E non può essere altrimenti, considerando l’argomento trattato: è la trasposizione hollywoodiana dell’Apocalisse dei cristiani.

apocalypse_dragonGiusto per capirci per chi non ha un passato da frequentatore di chiese, l’apocalisse di Giovanni è la parte finale del nuovo testamento, nonché la più pittoresca. E’ quella con l’anticristo, con la vergine che partorirà (di nuovo? queste vergini partoriscono continuamente, nel vangelo) ma nello spazio, ma soprattutto con l’incredibile drago con undici corna distribuite su sette teste, e con una coda che userà per spazzare un terzo delle stelle del cielo. Numerologia a piene mani, insomma.

Il Giudizio Universale di Michelangelo dopo le migliorie di Roberto Benigni nel Pap'occhio
Il Giudizio Universale di Michelangelo dopo le migliorie di Roberto Benigni nel Pap’occhio

Draghi cabalistici e vergini prolifiche a parte, la cosa veramente interessante dell’apocalisse è che ci sarà il giorno del giudizio, ovvero quel momento in cui il dio dei cristiani richiamerà tutti i suoi fedeli, vivi o morti che siano, per tirare le somme del loro operato, per vedere se hanno seguito come si deve le sue regole. Quelli che sono già morti avranno in primo luogo la grana di dover recuperare il proprio cadavere, e davvero non voglio essere nei loro panni. Presentarmi con un aspetto trascurato di fronte a dio nel giorno del giudizio non è certo il miglior biglietto da visita.

Il film sembra trattare proprio questo: l’improvvisa scomparsa di tutti i cristiani, che si limiteranno ad abbandonare i vestiti sul posto, lasciando incredulo e perplesso un gran numero di non-cristiani.

The RaptureGià, perché secondo l’apocalisse è proprio questo che accadrà: atei, agnostici e fedeli delle religioni sbagliate verranno semplicemente lasciati sul pianeta. Non verranno puniti per il loro rifiuto di aderire all’unica vera religione, semplicemente loro e la loro progenie verrà abbandonata in questa valle di lacrime. Va molto meglio a loro quindi che non ai cristiani cattivi, che invece si godranno un’eternità di fiamme infernali e via dicendo.

Non si dice cosa accadrà di preciso a tutti questi non-cristiani che rimangono sul pianeta. Credo che semplicemente non siano più interessanti ai fini divini, e quindi abbandonati a loro stessi ed alle regole della fisica. Per come la vedo io, questo era il vero spunto interessante per un film come si deve: far vedere che mondo sarebbe senza cristiani bigotti, ipocriti e arroganti ad intasare la politica, le istituzioni, gli strumenti di informazione, la morale e la vita di un pianeta. ironia della sorte, dopo anni di battaglie per una società migliore libera dalla religione, gli atei si ritroverebbero ad ottenere esattamente quello che volevano proprio per mano di quel dio in cui non credevano, e di cui comprenderebbero l’esistenza solo quando sarà troppo tardi. Da ateo che sono, magari sarei un po’ perplesso all’inizio, ma ci metterei poco ad accettare questo enorme regalo da un dio così ironico.

E come è questo film? Non lo so, non sono andato a vederlo. Mi è bastato vedere il trailer, come credo che possa bastare a chiunque. Si intitola Left Behind, che significa lasciati indietro, o abbandonati:

Veramente terribile.

Giusto per capirci:

  1. Il classico cartello catastrofista da film americano ed i vestiti del suo proprietario, ma senza lui dentro
    Il classico cartello catastrofista da film americano ed i vestiti del suo proprietario, ma senza lui dentro

    Si parla dell’apocalisse di Giovanni, e non c’è nessun drago, anticristo o trombe del giudizio. Ed è un film di Hollywood. Se devi fare un film catastrofico a basso costo, si può anche fare a meno di farlo. Ci sono un po’ di vestiti sparsi un po’ ovunque, chiaramente quelli che cristiani. Credevo fossero molti di più. Come si chiama il pilota sparito del volo di Nicholas Cage? Chris, ovviamente, grande sforzo di fantasia.

  2. La biondina di prima osserva sgomenta un nido senza neonati
    La protagonista bionda e carina osserva sgomenta un nido senza neonati

    Tutti i neonati sono scomparsi dal nido di un ospedale. Già, perché tutti i bambini appena nati sono già cristiani praticanti.

  3. E’ presente l’attore premio Oscar Nicholas Cage, come viene ricordato dal testo in sovrimpressione. Non mi ricordo con precisione dove abbia vinto l’Oscar, ma sono certo che non glielo hanno dato in anticipo quando hanno saputo che aveva accettato di recitare in questo film.
  4. Nessun ateo o pirata pastafariano che una volta capito il proprio madornale errore nella scelta della religione, decida di stappare una bottiglia e scendere in piazza a festeggiare con gli amici. Io farei così. Sarei sicuramente dispiaciuto per alcuni amici che avrei perso, chiaro, ma mi consolo pensando che alla fine è quello che hanno voluto loro, nel bene o nel male.

Siccome non è giusto solo criticare, ecco quindi la trama del mio film ideale sull’apocalisse:

  1. Si inizia come credo che inizi anche il film qui sopra: si introducono un po’ di personaggi, che saranno quelli che seguiremo durante l’apocalisse. Sicuramente non ci saranno i soliti stereotipi Hollywoodiani dell’eroe per caso da ultimo minuto, o della figlia biondina e carina. Ci metterei piuttosto un po’ di gerarchie politiche ed ecclesiastiche di varie religioni, per approfondirne la reazione di fronte al previsto imprevisto, un insegnante di religione e qualche pirata pastafariano
  2. monty-python-godSenza dilungarci troppo in preliminari noiosi, arriva la fine del mondo. Una cosa esagerata e spendacciona: i quattro cavalieri dell’apocalisse, il drago multicefalo, l’anticristo e tutto il circo divino, come richiesto dalle sacre scritture. Battaglie spaziali ben visibili in cielo a tutta l’umanità, in un tripudio di effetti speciali. In un suo racconto che ho trovato qui, Dino Buzzati ha pensato più ad una grossa mano spaziale, e già basta a gettare nel panico tutta la popolazione, credente e non, e ad inguaiare un giovane prete dalle cattive frequentazioni. Credo che ci si potrebbe ispirare più a questo che non a degli squallidissimi vestiti abbandonati. Siccome io poi sono certo che molte alte sfere della chiesa o vicine ad essa predichino bene ma razzolino male, e non sono nemmeno troppo certo che credano fino in fondo nell’esistenza del loro dio se non come ad uno strumento di manipolazione di massa, vorrei tanto vedere pure le loro di reazioni, una volta che davvero hanno la prova definitiva ed incontestabile che avevano ragione. Dedicherei poi uno spazio anche alla reazione di atei e pastafariani. Essendo che in genere sono categorie ben informate, si renderanno subito conto che l’apocalisse non è affar loro, e quindi coglieranno l’occasione per salire in un luogo elevato e a minimo rischio di catastrofi per godersi il più grande spettacolo della loro vita, offerto da un dio generoso seppur tanto disprezzato.
  3. Si sa come finisce la battaglia, la vergine partorisce ma il drago rimane a bocca asciutta. Arriva il Cristo nella veste di Antianticristo, che sconfigge l’Anticristo e risolve tutto. il bene vince, e non credo che sia una sorpresa per nessuno: sta scritto così. Come trama è conforme agli standard di Hollywood, quindi siamo a posto senza doverci inventare niente.
  4. A questo punto finisce la parte apocalittica e spettacolare ed inizia la parte più comica, ovvero la ricerca dei corpi da parte dei cristiani morti, ed insieme le preoccupazioni dei cristiani vivi chiamati al cospetto di dio. Molti di loro sono pure poco informati, magari perché a messa erano distratti, e ci sono molte perplessità sulle modalità del giudizio universale. Sicuramente c’è materiale per molti sketch piuttosto divertenti, come mettere vecchi cristiani del passato morti da secoli intenti a scavare nelle fosse dei cimiteri monumentali più famosi, alla ricerca di pezzi di loro stessi, o a contendersi le ossa di una mano. O i problemi tecnici di Giovanna d’Arco. per non parlare di tutti quei santi le cui salme sono state fatte a pezzi per riempire di reliquie non so quante chiese in giro per l’Italia. La convocazione selettiva di dio, che chiama a sé solo i credenti, potrebbe avvenire sfruttando tutti i mezzi di comunicazione: dio è dio, può tutto. Email, elenchi pubblici, SMS, giornali locali, tweet e lettere cartacee. Magari per i riottosi in cattiva fede anche alcuni stormi di angeli minacciosi, che non guastano e fanno un po’ di scena. Atei, pastafariani e credenti di altre religioni stanno a guardare divertiti. Vorrei anche cogliere l’occasione anche per mostrare le reazioni di tutti quei trogloditi che fino al giorno prima pensavano che l’unica cosa giusta da fare era di uccidere chi non credesse nel loro dio. Sicuramente si saranno resi conto di essersi sbagliati, e che di vergini in paradiso non ne vedranno nemmeno una. Ecco, credo sia giusto mostrare che non affronteranno l’apocalisse con la stessa serenità di atei e pastafariani.
  5. Finalmente tutti i cristiani morti hanno trovato il loro cadavere, ed i cristiani vivi, volenti o nolenti, sono ascesi al giudice universale. Il mondo è libero, un po’ malandato, e condannato ad un’esistenza costruita su due certezze: dio c’era, e non c’è più. Si fa la conta degli assenti tra l’entusiasmo dei presenti, e si gettano le basi di una nuova società non laica, ma dichiaratamente atea. Magari si passa anche a controllare le maggiori istituzioni per vedere che sia tutto a posto, giusto per accorgersi che le carceri ed i mezzi di informazione sono quasi completamente vuoti, mentre le università sono quasi a pieno organico. Tutte le religioni rimaste vengono di comune accordo eliminate se inutilmente restrittive, vedasi in generale quelle monoteiste, o declassate a folklore tradizionale, in caso siano divertenti e pittoresche. Ebrei ortodossi si concedono a sontuosi piatti di linguine allo scoglio, insieme ai loro nuovi amici mussulmani intenti a bere birra e a mangiare pane e salame. E con questo messaggio di pace e di speranza finisce il film.

Ecco, questo per me è un modo più serio e maturo di affrontare un tema importante e delicato come il giorno del giudizio, e certamente più fedele all’idea dell’apostolo Giovanni che non quella boiata di Left Behind. Se così deve essere, accidenti, allora vorrei proprio esserci.

Buona apocalisse a tutti, ci si vede in piazza a bere una birra insieme, se non siete stati rapiti.

Campane meno moleste – Atto III

Assunzione_della_Vergine_(Moretto_Duomo_vecchio)Per chi lavora il 15 agosto è Ferragosto, da circa duemila anni. E’ il giorno di vacanza per eccellenza. Per chi non lavora, come i preti o i papi cattolici, è invece l’ennesima occasione per impossessarsi di una festività laica e farla diventare cristiana, e farci quindi la solita predica nel caso dovessimo eccedere con i divertimenti. La festa usupatrice è quella dell’Assunta, e serve a ricordare ai suoi fedeli che quando presti l’utero a dio senza contestare dopo come ricompensa potrai portare il tuo cadavere in paradiso senza dover aspettare l’apocalisse.

Per chi come me ha la fortuna di abitare in centro al paese, il 15 agosto è una di quei giorni in cui è tradizione che il campanile della chiesa si metta a suonare all’impazzata in un orario in cui i pirati per bene sono già a letto da alcune ore e vogliono dormire, soprattutto se hanno un bambino piccolo e se credono di meritarsi il loro giorno di ferie di Ferragosto.

Per me questa mattina è stata l’occasione di portare avanti la mia questione personale con il caro prevosto del paese, che tanto ci tiene a non contrariare i suoi fedeli togliendogli questo rumoroso servizio tanto gradito a loro quanto sgradito a me. Prevedendo l’inizio del concerto molesto a 20 alle 7, mi sono alzato all’alba delle 6 e 20, armato di videocamera. Ho spostato un bucaniere di due anni vagamente contrariato nel lettone, fornendogli un biberon con mezza pinta di latte di vacca come silenziatore. In questo modo la camera di registrazione era libera. Ho quindi ho sistemato i miei strumenti e fatto partire la registrazione.

Risultato: niente.

Mezz’ora di niente, in cui il campanile si è limitato a stare fermo immobile, lui e le sue campane. Ho aspettato fino a pochi minuti alle sette, orario in cui normalmente partiva la seconda scampanata, quella molto meno molesta di richiamo ai ritardatari della messa delle sette. Non ha suonato nemmeno quella. Ne è uscito un filmato lunghissimo e decisamente noioso. Il momento più adrenalinico è quando si sentono i passi di alcuni anziani che vanno a messa, tanto per dire. Ho deciso quindi di non pubblicarlo, se non volevo battere il record di pollici versi su youtube.

Nel frattempo il piccolo filibustiere stava facendo colazione con la mamma, commentando con entusiasmo le prodezze della Pimpa e dei suoi elettrodomestici parlanti. Metto su il caffè e mi aggiungo perplesso al gruppo, tirando fuori l’argomento con la mia amata.

Ci abbiamo ragionato un po’. Tutto era nato qui, con la mie lettera al comune, ed era proseguito qui, con la risposta del prete al comune ed in copia a me. E’ passato più di un mese, e da allora non ho più ricevuto notizia. Mi veniva da pensar che niente era stato fatto, come se il marasma di commi e citazioni usati dal prevosto nella sua lettera per sostenere la propria arroganza avesse spaventato l’ufficio tecnico del comune al punto dal chiudere la questione senza nemmeno una risposta. Proprio per questo ho voluto registrare la scampanata dell’assunta, nonostante mi costasse una sveglia mattutina fuori programma.

Alla luce dei fatti, concerto non è stato. Anzi, in realtà c’è stato, ma posticipato alle 8. Orario già più decente per fare un po’ di rumore. Poi a seguire più o meno ad ogni ora, meno che durante l’ora del pisolino pomeridiano. L’ultima scampanata furibonda è quella di mezzogiorno. Ne ho registrato la fase finale qui, per il piacere delle vostre orecchie. non siete tenuti ad ascoltarlo, sono solo delle campane che suonano un po’ a caso:

Forse nell’ultimo mese qualcosa si sia mosso. Potrebbe essere che l’ufficio tecnico del comune non si sia fatto spaventare dal minaccioso rigurgito di citazioni del prete, e gli abbia semplicemente ricordato che la mattina non deve disturbare, e che i suoi congregotti se vogliono sentire le campane alle 6 di mattina possono registrarsele e spararsele dallo stereo di casa loro all’ora che vogliono, senza che per forza debba sentirle tutto il centro storico. Quindi avranno concordato un ora lecita, come le otto di mattina, come inizio lecito dei concerti.

Altra spiegazione, più probabile: nel pomeriggio incontro mia zia, attiva in municipio in un partito non di maggioranza e non vicino alle politiche pastafariane. Le chiedo se in comune ha sentito qualcosa, e mi dice quello che non volevo sentire: lei stessa ha partecipato ad una messa presso il palazzotto di una nostra vicina di casa, ha tirato fuori l’argomento col prevosto e gli ha confidato che è il suo nipote il fastidioso nemico dei privilegi cattolici che ha chiesto di zittire le sue amate campane. Quindi il prelato ha accordato così, per simpatia e rispetto a mia zia, ciò che a me è stato negato in quanto cittadino italiano non cattolico.

Già, un bello schifo di finale: ho ottenuto quello che volevo non perché ho seguito le procedure previste, ma perché ho conoscenze importanti in politica e in chiesa. Siamo proprio in Italia.

Preti molesti che suonano campane moleste – atto II

Quando si pensa ad un prete molesto, il pensiero corre ad un altro genere di molestia. Nel mio caso è sempre coinvolto un bambino piccolo, ma solo perché viene disturbato nel sonno dalle campane moleste che il prete molesto del mio paese pretende di avere il diritto di suonare, anche in orari improbabili, tipo la mattina a venti alle sette.

E così circa un mese fa, seguendo le istruzioni che ho trovato qui, ho scritto una lettera al sindaco e ne ho parlato qui, sollecitando un intervento da parte del comune.

E la risposta è arrivata. Incredibile a dirsi, la risposta del prete alla lettera del comune mi è arrivata quattro giorni prima della lettera del comune a cui ha risposto. Forse è che siamo già nell’anno del futuro di Ritorno al Futuro, ed iniziano i primi scombussolamenti temporali. Oppure la realtà è più semplice: abbiamo a che fare con le poste italiane, che ci mettono dieci giorni a consegnare la mia raccomandata al comune che sta dall’altra parte della strada, e già avevano dato grande prova di loro qualche anno fa, con la mia lettera di sbattezzo. Apprendo infatti del’esistenza di una lettera del comune prima ancora di riceverla solo perché il prevosto mi ha fatto al cortesia di inoltrarmela.

Il tutto è un bel pacco di 11 fogli fotocopiati (male) e graffettati. Li riporto qui di seguito, per il vostro piacere intellettuale.

La lettura è in linea di massima piacevole, a tratti esilarante, se non fosse che rappresentano la versione cartacea della prepotenza di un rappresentante delle gerarchie cattoliche. Molte parti sono però noiosi elenchi di citazioni burocratichesi di altri documenti che vogliono suffragare l’autorità del prete di scampanare a sua discrezione.

Siccome di mestiere non faccio il giurista, ho pensato che la prima cosa da fare fosse contattare l’ufficio SOS laicità dell’UAAR per aggiornarlo sul mio problema. Gli ho chiesto se sia il caso che io intervenga nello scambio epistolare tra chiesa e comune o se devo aspettare a vedere se quest’ultimo ha a cuore il mio problema ed intende portarlo avanti con la dovuta autorità.

Se dovessi intervenire io, magari non avrei la forma che ha il reverendo, ma sicuramente di cose da rispondergli ne avrei un bel po’. Potrei giusto elencarle qui di seguito.

Come prima cosa, non ho niente contro le campane che suonano di giorno. Certo non sono un grane amante della scampanata, a prescindere dal suo significato. Ma dal momento che porto sempre con me il telefono, sul telefono c’è l’orologio e quindi non considero vitale il servizio di segnale orario del campanile. Allo stesso modo, non essendo né un anziano né una comare di paese, poco mi interesso a chi è morto, e se mai la cosa dovesse riguardarmi, ho dei canali di informazione alternativi. Anche qui mi vengono incontro vari modernismi tecnologici che sono stati inventati dopo il campanile. Per citarne alcuni: i giornali, Whatsapp, ancora il telefono.

Non sapevo che le campane debbano o meno suonare durante i temporali. Mi chiedo che senso debba avere la cosa, anche se mi lascia abbastanza indifferente. Quasi mi dispiace che l’attuale prevosto si sia fatto capo di una revisione delle scampanate, e sia stato ripreso da un comitato di parrocchiani con tanto di avvocato che vigila sulle antiche tradizioni del paese. Forse il prevosto li ha citati anche a scopo intimidatorio, come a dire che se anche noi blasfemi dovessimo vincere il primo round contro le campane moleste, la cosa non passerebbe certo inosservata a questi signori. Vedremo.

La nota dolente è all’inizio di pagina due:

In alcune Solennità o feste e in alcune celebrazioni tradizionali alle ore 6,30 si vuole ripristinato il suono dei concerti che durano tre minuti. Trascrivo a seguire il calendario concordato. Circa le Solennità e feste sono state scelte: NATALE – EPIFANIA – MERCOLEDI DELLE CENERI – DOMENICA DELLE PALME – PASQUA – ASCENSIONE – PENTECOSTE – SS.MA TRINITA’ – CORPUS DOMINI – SANTI PIETRO E PAOLO – ASSUNTA – SOLENNITA’ DEI SANTI – COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA. Circa le celebrazioni tradizionali: si suonano le campane alle ore 6:30 durante la settimana eucaristica quella che va dalla SS.MA TRINITA’ al CORPUS DOMINI (da lunedì a Sabato) e durante l’OTTAVARIO DI PREGHIERA PER I DEFUNTI celebrato dal 1 all’8 novembre ( in questi giorni si suona il campanone dei morti).

Sembra che ogni occasione è buona per fare un concerto mattutino per un pubblico non pagante. Non ho ben chiaro per quale di queste feste abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di essere svegliati per tre giorni di fila. Certamente so che l’Assunta è a ferragosto, quindi posso prevedere che se per allora la cosa non si sarà risolta come vorrei, saremo svegliati all’alba dal concerto.

giove-pluvioSegue una breve considerazione sui temporali. Un’altra. Come se io mi fossi lamentato che durante i temporali non ho niente di meglio da fare che lamentarmi perché c’è un campanile che suona. Se credessi in Thor, Giove Tonante o altro dio dei tuoni e fulmini potrei lamentarmi con il mio sacerdote perché non lo prega abbastanza o nel modo corretto, al punto da provocare l’arrivo della temuta Sarneghera, calamità dei campi e delle vigne. Da amante del Franciacorta e devoto Pastafariano, mi guardo bene dal voler rimuovere un servizio tanto utile alla produzione di vino e cereali.

Ma questo era solo riscaldamento. Il bello arriva qui: le considerazioni di un prete bigotto ed in malafede riguardo a ciò che a me deve dar fastidio o no:

Ciò che mi sorprende è che dalle 6 del mattino in via Chiesa, in Piazza Morganti, in Via Pevvi transitano autoveicoli molto rumorosi e fino a mezzanotte il traffico su queste strade e sulla Piazza è molto intenso e l’inquinamento acustico giornaliero dal lunedì al sabato si protrae per ore e ore. Durante l’estate in Piazza Morganti all’aperto si tengono concerti, proiezioni di film, conferenze, manifestazioni culturali che iniziano alle ore 20,30 e durano fino alle 23 e spesso dalle 23 alle 24 si smontano le attrezzature provocando rumore. Oggi si arriva al punto di far tacere le campane (che suonano pochi minuti, massimo tre) per non disturbare la quiete pubblica, dopo essersi ingozzati dal mattino a sera di autoveicoli fracassoni e assordanti, di clacson sfrenati e violenti, di rumori televisivi e radiofonici. Un’armonia quieta e serena come quella delle campane sicuramente disturba, diventa sgradita, eccessiva ed irritante perché invita alla riflessione, alla poesia, alla preghiera, ma soprattutto fa pensare alla dimensione religiosa della vita

sbatttezzatoMi piace pensare a quanto sia realmente sorpreso il prete di fronte alla mia richiesta di non fargli suonare le campane. Non credo che faccia fatica a ricordare il mio nome, visto che mi sono fatto sbattezzare da lui tre anni fa. Dovrebbe aspettarsi che io sia un po’ prevenuto nei suoi confronti, non essendo più ufficialmente parte del suo gregge di pecorelle.

Comunque è vero: via Pevvi è molto trafficata. Sarei contento se un giorno un sindaco illuminato dovesse decidere di trasformarla in una zona pedonale.

Voglio però far notare che chi si sveglia per il rumore non sono tanto io, quanto il mio bambino di due anni. Certo, questa informazione non gli è stata passata dall’ufficio tecnico del comune, ma sono certo che converrà che mio figlio, per quanto sia ateo come me e come tutti i bambini della sua età, sicuramente non è in cattiva fede come lo sono io nei confronti di un campanile molesto, e che se non si sveglia per il traffico ma lo fa per le campane, non lo fa in aperta contestazione con la chiesa cattolica.

La famosa Pimpa rincorre una causa di traffico frenato e violento
La famosa Pimpa rincorre una causa di traffico frenato e violento

Posso anche capirlo: il traffico rumoroso è giornaliero, e quindi anche se un camion dovesse passare sotto la finestra aperta di casa nostra e suonare il suo clacson sfrenato e violento durante la merenda, al massimo gli farà perdere una battuta della Pimpa impegnata in una delle sue straordinarie avventure.

Sarà poi forse che la sera è più stanco della mattina, ma mio figlio ignora anche tutti gli schiamazzi serali dei clienti della pizzeria di via Pevvi, come pure i motorini scoppiettanti dei ragazzetti dell’oratorio che non possono fare a meno di sgasare mentre decidono ad alta voce dove fare il secondo giro. Non dà peso nemmeno ai numerosi matti del paese, mattinieri o nottambuli che siano, quando vengono a cantare le loro canzoni improvvisate ad orari impossibili. Probabilmente il suo è un adattamento naturale ai rumori dell’ambiente più ricorrenti.

Il mio posto il prima fila per il concerto dell'Assunta
Il mio posto il prima fila per il concerto dell’Assunta

Ma è difficile non svegliarsi quando nel dormiveglia della mattina ci sono una decina di campane che fanno a gara a quella che fa più rumore fuori della propria finestra. Già, perché il nostro piacevole parroco lo definisce un’armonia quieta e serena. A me ricorda più il suono angelico che farebbe il carretto di un robivecchi che si rotola giù da una scarpata. Chissà perché lo stesso Dante Alighieri non fa mai riferimenti alle campane per descrivere le voci di angeli e santi della Divina Commedia, quanto piuttosto alle canne di un organo. Se i frequentatori di chiese di Gussago non la pensano come il Sommo Poeta, allora suggerisco di cambiare di posto tra loro l’organo che c’è nella chiesa con le campane, così che il prete e la sua assemblea possano apprezzare appieno ad ogni celebrazione la piacevolezza che invita alla riflessione, alla poesia, alla preghiera, ma soprattutto fa pensare alla dimensione religiosa della vita.

Grazie al calendario fornito premurosamente dal nostro prevosto posso premunirmi e registrare il prossimo concerto dell’Assunta a Ferragosto, di modo che chiunque possa valutarne la bellezza sublime. Magari a noi atei sfugge la poesia del suo concertino mattutino, ma gli garantisco che quando sento le sue campane di riflessioni ne faccio un bel po’, condite da numerosissime preghiere rivolte alla somma divinità suina ed al suo nutrito pantheon di semidei accessori.

A pagina tre iniziano le questioni tecniche burocratiche. Quelle per cui voglio sperare che l’ufficio tecnico abbia la forza e la volontà di prendere in mano, o che se non altro lo facciano spronati dall’intervento dell’ufficio SOS laicità dell’UAAR. Il prete, bontà sua, ammette che le campane, spesso situate in pieno centro abitato. possano rivelarsi fonte di disturbo per i residenti delle zone limitrofe. Dopo aver detto questo parte il lungo elenco di citazioni di casi a riguardo, nell’ordine:

  • Articolo 2 del concordato, 1984, quello per cui va bene suonare le campane, ma che questo non pregiudichi i beni e la salute degli italiani.
  • CEI, maggio 2002: si cerca di uniformare il disturbo alla quiete pubblica da scampanamento. Forse per evitare che il prete un po’ troppo solerte faccia fare delle figure meschine a tutta la chiesa cattolica.
  • 13 maggio 2002, sempre la CEI decide che sono i vescovi a decidere l’entità dei disturbi alla quiete pubblica da campanile, il tutto distinguendo tra scopo liturgico o religioso (quale è la differenza?) , ed in base ad orari, intensità, modalità e durata del disturbo.
  • Finalmente una legge dello stato e non della chiesa: siamo nel 1985, e la legge 121 articolo 2 dice che bisogna guardare all’esercizio del culto. Credo significhi che c’è differenza dal suonare le campane alle sei e mezza perché il prete vuol far sapere a tutti che il suo dio è risorto anche quest’anno, e il suonare le campane perché è in corso una messa. L’impiego non liturgico per questa legge non gode di particolare tutela. Ma pensa un po’, significa che fuori delle messe un rumore è un rumore, a prescindere che a produrlo sia un campanile o una ambulanza.
  • L’articolo 844 del codice civile viene citato paragonando il suono delle campane ad altri fastidi quali fumo, calore, esalazioni, rumori e scuotimenti, tutti vincolati a certi limiti di legge. Chiaro. Non a caso per queste cose si fa intervenire l’ARPA. Mi metterò d’accordo col tecnico dell’ARPA per farlo assistere al concerto di Ferragosto direttamente da un posto in prima fila, quale la finestra della cameretta di mio figlio.
  • Purtroppo però il nostro prelato, attraverso la citazione di diversi casi di cassazione, ci fa sapere che non esistono criteri precisi per capire quando questi limiti vengano oltrepassati, e che vada valutato il caso ogni volta.
  • Il secondo comma dell’articolo 844 del codice civile ci parla però che in caso di necessità produttive il giudice può alzare la soglia del disturbo. sicuramente lo scampanamento non rientra in un caso di produzione, quindi dovrei essere a posto.
  • Purtroppo però il nostro ci fa notare che nel caso delle campane che annunciano la celebrazione, non vada conciliato l’aspetto produttivo delle stesse, quanto l’aspetto religioso, perché il tipo di disturbo non è modificabile. Certamente, se abitassi a Monza e mi stessi lamentando dei disturbi del Gran Premio, allora il patron della Formula 1 chiederebbe di valutare non tanto l’aspetto produttivo o religioso, quando automobilistico.
  • A questo punto inizia un rincorrersi tra appelli e cassazioni in giro per i tribunali di tutta Italia. La sensazione mia è che la legge non è chiara, e quindi sta al giudice interpretare quello che vuole, a seconda dei suoi sentimenti politico-religiosi o dalla distanza della sua camera da letto dal campanile del paese.
  • Da questa gran confusione tribunalistica ne esce però una conclusione chiara, all’inizio di pagina 6:

… la contravvenzione non è configurabile nei casi in cui siano offesi solamente i soggetti che si trovano in un luogo contiguo a quello da cui provengono i rumori …

Quindi una conclusione finale:

In linea generale, deve, tuttavia, escludersi che le campane costituiscano, di per sé, fonte rumorosa con riferimento al suono prodotto per richiamare i fedeli al culto. Lo scampanio, infatti, rientra nelle consuetudini della vita di comunità, e costituisce fatto periodico e di breve durata, normalmente privo di intensità da porre problemi inerenti al disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone a norma del citato articolo del codice penale. (Cass. n. 848/ 1995).

Tanto dovevo per dovere di chiarimento. Mi auguro che questa risposta possa costruire ponti e non muri. Rimango a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento, che condividerò in un dialogo mite, franco e determinato.

Firma e data.

Certo, se fossi io il prevosto non sarei tanto propenso ad accontentare al volo il primo ateo che brontola per una scampanata quando ha traffico, spettacoli e concerti sotto casa. Posso capire le sue idee, e ne va della sua dignità di prete e di tutta la forte organizzazione che ha alle spalle.

Da parte mia sento di dover far valere i diritti miei e della mia famiglia, a prescindere dalle sue considerazioni su cosa debba disturbare o no. Non essendo cattolico, perdo gran parte dei diritti che lo stato dà agli aderenti di questa religione tramite il concordato. Cercherò di farmi bastare i miei diritti civili.

Ponti e non muri. A noi amanti dei Pink Floyd quando ci si parla di muri ci mettiamo subito in preallarme. Spettacolo-ZAC-2015A dare ragione alle considerazioni del prevosto, sabato sera in piazza c’era un rumoroso spettacolo teatrale per bambini, a base di enormi conigli manovrati da attori con costumi un po’ retrò. A dare ragione a me, mio figlio ha deciso che lo spettacolo non era sufficientemente interessante, e ha dormito della grossa per tutta la sua durata. A darmi un segnale interessante, la scelta bizzarra per la musichetta di stacco dell spettacolo: nientemeno che la canzone Alan’s psychedelic breakfast dall’Album Atom Heart Mother, al netto dei rumori di Alan che frigge la pancetta e maneggia le stoviglie, chiaramente. Stiamo comunque parlando di Pink Floyd. Stiamo parlando di un segno: c’è un muro da abbattere.

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Per chi difende i diritti dei propri figli, a condizione che non siano gay

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Domenica un milione di omofobi è sceso in piazza a manifestare contro la pericolosa teoria teoria gender. E a ragione, ci sono un bel po’ di cose di cui preoccuparsi:

  • la teoria gender vuole promuovere l’omosessualità a discapito dell’eterosessualità
  • la teoria gender vuole sottoporre tutti i bambini dagli asili nido in poi a dimostrazioni pratiche di masturbazione individuale e collettiva
  • la teoria gender è subdola, e vuole accomunare un po’ di sana omofobia dettata da antichi princìpi morali e religiosi a concetti brutti come il bullismo. Come se un gruppo di maschietti non avesse più il sacrosanto diritto di schernire quel bambino un po’ effeminato che non si comporta come un vero maschietto
  • la teoria gender è mossa dalla potente lobby italiana dei gay, ovvero quei diabolici sovversivi  in tacchi a spillo che anche se da un lato non sono in grado di ottenere nemmeno una cosa elementare come il diritto all’unione civile, dall’altro riescono a muovere una macchinazione perversa che coinvolge nientemeno che l’OMS e diversi ministeri italiani

 

Forse sto sbagliando ad usare la parola omofobi, che suona così male. Meglio dire difensori dei princìpi della famiglia naturale, che subito li fa passare dalla parte della ragione che è di chi si difende da una oppressione, e non li fa sembrare come gente che vuole negare ad altri i diritti che a loro sono concessi. Chi invece è discriminato diventa un pericoloso cospiratore da cui dobbiamo tutti difenderci.

pqotdtm-jd-i-will-surviveTutto questo però non tiene conto di una cosa di per sé anche abbastanza elementare: la teoria gender non esiste. Non esiste una cospirazione dei gay per prendere il controllo del genere umano, per trasformare l’umanità in un immenso gay pride permanente. Non esiste anche solo per il fatto che i gay non sono stupidi come gli omofobi che gli danno addosso, e sanno che se fossimo tutti gay, nessuno farebbe più figli e loro stessi non potrebbero più adottarne. L’umanità intera si estinguerebbe in una generazione sulle note di I will survive.

Quando vedo tutta quella gente riunita in uno stesso posto, mi sento triste per loro, per tutti gli sforzi ci mettono a manifestare contro una cosa che li spaventa veramente, ma che ha assunto i toni delle più note cospirazioni quali le scie comiche e l’uomo falena. Solo che in questo caso non abbiamo a che fare con cospirazionisti professionisti che si nascondono dietro a nickname ad effetto per muoversi esclusivamente in forum e blog a tema. Queste qui sono persone che sono andate fisicamente in piazza a protestare. Non si è mai vista una tale folla di sciachimichisti in piazza. A volte mi viene persino il dubbio che esistano davvero, e che in realtà non siano che dei bot programmati da qualche ente segreto per catturare ed isolare gli stupidi del paese; questa sì che sarebbe una bella cospirazione. I famiglianaturalisti invece esistono, e hanno paura di questa teoria gender di cui ne hanno sentito di tutti i colori al punto da ritrovarsi in piazza per confortarsi l’un l’altro e per manifestare le loro preoccupazioni. Peccato però che la teoria gender ricalchi in tutto e per tutto lo stile della megacospirazione universale:

  • poche fonti certe. Una è questa, peraltro promossa nientemeno che dall’OMS, e un’altra è il famoso progetto UNARopuscolo dell’UNAR che il Dipartimento della pari opportunità della presidenza del consiglio dei ministri ha fatto preparato per gli insegnanti delle scuole, contestato nientemeno che dai vescovi italiani perché giudicato destrutturante e  persecutorio nei confronti della famiglia.
  • una marea di voci che riportano notizie false o travisate, ma prendendole per certe, seguendo la regola che più volte una menzogna viene pronunciata, più è facile che finisca per diventare una realtà. I due documenti ufficiali citati qui sopra non parlano certo di sedute di masturbazione di gruppo tra bambini, o inviti al cambio periodico del sesso, giusto per fare un esempio. Chiaramente siete invitati a controllare.

 

Ciò non toglie che queste persone, che magari sono solo un po’ credulone e poco informate, mi facciano pure un po’ pena. D’accordo che non saranno molto pratiche di cospirazioni, che magari non hanno nemmeno Internet per andare a vedere se tutte le sciocchezze che gli vengono dette sulla teoria gender sono vere, o che è gente non molto critica, abituata a bersi sempre tutto di quello che gli viene detto dalle loro sorgenti ufficiali di informazione religiosa. Ma questo non significa che non siano omofobi. E se non sono in grado di usare la loro testa per capire cosa sia veramente giusto o sbagliato e quale sia la differenza tra negare i diritti ad altri e mantenere i propri, allora sono anche persone sciocche e pericolose.

A volte penso a mio figlio, che ha quasi due anni. E’ un maschietto e gli piacciono le ruspe ed i trattori, anche se il suo bel faccino e la sua testa piena di riccioli lo fanno spesso confondere dai passanti per una bambina. Non gli ho imposto io di giocare con le ruspe, negandogli magari il permesso di giocare a vestire e pettinare delle bambole, ma non ha importanza. Se mai un giorno si renderà conto di essere omosessuale, sarei onorato e orgoglioso se non me lo nasconderà, come se fosse una cosa normale ed accettabile, e non qualcosa di peccaminoso o imbarazzante. Avrò motivo di essere triste per questa notizia solo se per allora non saremo ancora riusciti a far riconoscere agli omosessuali gli stessi diritti alla famiglia degli eterosessuali, perché significa che mio figlio ed il suo compagno dovranno ancora lottare per avere un diritto fondamentale riconosciuto dalla stessa unione europea.

Mi chiedo invece cosa dovesse accadere se non è mio figlio a rendersi conto di essere gay, ma quello del tipo che tiene lo striscione in mezzo alla foto in testa a questo articolo. Non credo che avrà molto voglia di dirlo al suo papà, come non credo che suo padre sarà felice di sentirselo dire, o si sia preoccupato troppo di questa terribile eventualità. Magari ha semplicemente confidato che queste cose accadono solo a chi abbassa la guardia con i gay, o magari a chi permette che il proprio bambino giochi al parco con uno che ha già contratto la malattia dell’omosessualità, prendendosi anche lui l’infezione. come i bambini che si sono ritrovati a vivere loro malgrado in una famiglia innaturale (artificiale? artefatta?) che si vedono alla fine di questi filmato: questi bimbi sono chiaramente condannati a diventare gay come i loro genitori e a propagare il virus gender.

Quello che credo poi è che una persona possa diventare omofoba per nascondere un’omosessualità latente. E non sono solo io a crederlo: ne ho trovato conferma qui, ad esempio. Quando sento il solito politico ottuso e nostalgico del bel ventennio andato che sbraita in difesa della famiglia naturale, mi viene subito da pensare a lui come ad un pover’uomo infelice e represso, costretto dalla sua educazione a comportarsi in un modo idiota, arrogante e contro la sua natura, per nascondere una condizione di omosessualità trattata da lui stesso come un mostro imbarazzante che si porta nella pancia con cui non riesce a confrontarsi e da cui non riesce a liberarsi. Un gay latente e omofobo, che facilmente si è trovato a sua volta nell’impossibilità di rivelare la propria condizione a dei genitori chiusi ed oppressivi, finirà per compiere gli stessi errori con i suoi figli. Purtroppo per loro, alzare la voce o striscioni scritti a caratteri cubitali non li proteggerà mai dal pericoloso contagio gay, e non farà altro che mettere a disagio un eventuale figlio omosessuale che si troverà costretto a convivere di nascosto con la sua condizione, alimentando di generazione in generazione una lunga serie di sensi di colpa irrisolti e magari arrivando a convincersi che sia davvero una malattia di cui vergognarsi e da cercare di curare, nel caso di nascosto. Forse è l’occasione di parlare un po’ ai propri figli invece di limitarsi ad indottrinarsi secondo il credo delle proprie paure, e seguire il consiglio di una che fa uno dei mestieri del futuro, l’ideologa del gender.

Che poi, l’omosessualità non è una malattia. Se siete degli scienziati disoccupati o pagati dalla CEI, smettetela di cercare il vaccino. Casomai vedete di trovare una cura contro l’omofobia.

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Le straordinarie fluttuazioni dell’euro durante le visite morfologiche

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Sbagliare, si sa, è umano, ma perseverare è divino! E così, per la seconda volta ci ritroviamo a fissare sullo schermo di uno strano televisore la trasmissione più interessante ed esclusiva del mondo: la visione in tempo reale delle prime immagini della nostra seconda creatura, nonché prima bambina! Certo, all’occhio del profano potrebbe apparire più come il trailer di Alien V, ma noi siamo contenti, ed il dottore dice che va tutto bene. Certo, lui è più attento alle misurazioni ed è meno emozionato nel sapere se sarà un principino o una fatina, ma alla fine ci chiede se lo vogliamo sapere, noi chiaramente sì, lui ce lo dice e sembra pure contento che siamo contenti. Visto poi che oltre ad essere una bimba è anche in perfetta salute, direi che ci va proprio benissimo.

Quello che ci va un po’ meno bene è che per avere un servizio fondamentale per una futura mamma come è la visita morfologica siamo dovuti ricorrere ad una clinica privata, come se fossimo una giovane coppia di viziosi che si divertono a pagare per avere un servizio che il ministero della salute passa a tutti gratuitamente. La cosa ha assunto pure un tono tragicomico quando abbiamo scoperto che le liste di attesa per le visite morfologiche presso gli enti pubblici sono così lunghe che andrebbero prenotate ancora prima di aver concepito la creatura. Se però si decide di ricorrere ad una clinica privata, allora di posto ce n’è in abbondanza, e possiamo addirittura scegliere il nome del medico. La mia amata decide per lo stesso medico della prima volta, quella gratuita, per una specie di paghi 1 / prendi 2.

Euforici per la trasmissione in tempo reale a cui abbiamo appena assistito, ci rechiamo a saldare il conto con l’austera segretaria della clinica. L’attesa si fa lunga, tra tutte le telefonate e visite improvvise di donne frettolose ed accaldate a cui la cara signora deve far fronte, e che ci passano bellamente davanti. Per passare il tempo in modo ameno inizio a tamburellare nervosamente sul bancone con il bancomat, sforzandomi di non osservare troppo le orripilanti opere d’arte moderna che troneggiano in giro per la stanza, il cui scopo sembra quello di voler mettere a disagio le persone o di indurre le gestanti ad un parto anticipato. Non appena tutti meno che noi sono stati esauditi ecco che torna ad essere in nostro turno, e la signora inizia a dedicarci la sua attenzio. Un po’ chiede ed un po’ scrive nel suo computer. Decide di uscirne con una frase interessante:

– Ma lei è assistita dalla dottoressa De Uteris?

Accidenti, sì! Penso io. E così risponde pure l’assistita. Quindi la segretaria si piega leggermente in avanti da dietro al bancone come a volerci confidare un segreto, e guardando la mia dolce metà le bisbiglia con fare complice:

– Senta, allora le posso fare 100 euro invece di 150, che ne dice?

Beh, grazie! Uno sconto non si rifiuta mai. Va a capire te per che motivo la nostra ginecologa dà diritto a sconti imprevisti in istituti che non sapevamo essere convenzionati. E soprattutto, senza chiederlo! Meglio che andare al cinema con la tessera dell’Ikea.

Definito il prezzo, le porgo il bancomat con cui stavo giocherellando da tempi immemori. Ma questo mio gesto, apparentemente banale, provoca un certo sgomento. La frase allarmata con cui reagisce la segretaria non aggiunge niente al contesto:

– Ah! Pagate col bancomat?

L’ha detto come se volessi pagare con delle perline o con dei buoni pasto. Già, paghiamo con il bancomat. Sarà che non credo di aver la faccia di un portavalori, o di uno che ama passare il tempo a ritirare pezzi di carta da un buco nel muro per poi essere rapinato, per perderli o per lavarli per sbaglio insieme alle mie mutande. A me i soldi arrivano direttamente in banca, belli che tassati. Non ho quindi molta simpatia per tutte quelle categorie sociali poco avvezze al pagamento delle tasse, e che invece hanno interesse a maneggiare questi pezzi di carta ad insaputa dello stato. Sto parlando di:

  • mafiosi che devono riciclare denaro sporco frutto di attività criminose
  • politici corrotti che devono farsi pagare per prestazioni illecite ad insaputa dei loro elettori
  • preti che chiedono offerte ai loro fedeli quando già ricevono fiumi di soldi dallo stato senza il minimo giustificativo
  • professionisti di ogni genere che storcono il naso di fronte alla richiesta di una fattura, facendo presente che così non verrà fatto lo sconto

Per religione amo definirmi comunque un pirata, e mi rendo conto che questo mio atteggiamento può danneggiare la categoria: è difficile chiedere un versamento tramite il POS al capitano della nave che si è appena abbordata. Ma tant’è: bisogna ammodernarsi, e per il bene di tutti occorre fare un piccolo sforzo, ed iniziare a pagare le tasse. Se poi si è mafiosi, politici o preti, allora forse è anche ora di trovarsi un lavoro onesto.

Il bello del bancomat è proprio che è uno strumento scomodo per le persone brutte. E se si è persone belle è meglio usarlo il più possibile, come fanno nei paesi più civilizzati e meno mafiosi/corrotti/religiosi/evasori del nostro. In questo modo si complica un po’ la vita alle categorie di persone che sono costrette a usare i contanti per scelta professionale. I cento euro che lo studio medico vorrebbe ricevere dalle mie tasche sarebbero scomparsi dalla contabilità dello studio, per finire in un posto lontano dagli sguardi del ministero delle finanze. Giudicando la quantità di persone in sala di attesa, sembra che di soldi ne girano un bel po’, a botte di centinaia di euro, quindi non penso che il nostro dottore si limiti a comprarsi le sigarette o a fare la spesa per ripulire il suo denaro. Deve forse usarne una parte per comprarsi una ventiquattr’ore e metterci delle ulteriori banconote, da consegnare ad un suo amico politico di Comunione e Liberazione? O deve comprarci una terza casa ai Caraibi, per parcheggiarci la sua costosa e esigente moglie? Non posso saperlo. Sicuramente non manderà la sua zelante segretaria a depositarli in banca sul suo conto o su quello dello studio.

Torniamo alla cariatide del nostro studio medico. Appreso che intendo pagare col bancomat, il generoso sconto che avevamo concordato è tacitamente sfumato. Come se lei sa che io so, e che sono un cretino perché mi faccio del male da solo a vantaggio di quell’esoso mostro mangiasoldi che è la comunità italiana, e che quindi non mi merito nessuna spiegazione. In una normale conversazione sarebbe stato carino rendermi partecipe dei motivi per cui non mi è stato negato uno sconto promesso senza limitazioni sul tipo di pagamento. Trattandosi invece di una proposta di truffa mal recepito, si è preferito far finta di non aver mai pronunciato la frase infelice.

Finalmente arriva una ricevuta, e da sotto il bancone compare il POS, nemmeno troppo impolverato. Mi viene in mente una scena simile del film Qualunquemente di Antonio Albanese, ambientata però questa volta nella ricca e onesta provincia di Brescia. Salta fuori che un piccolo sconto c’è stato: non paghiamo più la tariffa piena di 150 euro, ma 140. Forse ha applicato lo sconto simpatia, o forse ha tacitamente comprato il nostro silenzio sull’imbarazzante situazione. Silenzio che io ho deciso di rispettare, non parlandone a nessuno. Mi sono limitato a scriverne in questo articolo.

Il POS fa un po’ le bizze. Forse è un po’ che non viene usato, o forse saranno le continue telefonate a far cadere la linea. Finisce che ci mette un po’ a portare a buon fine la transazione. Non perdo la calma, anche se so che in tasca non ho che pochi spiccioli, non sufficienti a pagare la prestazione ricevuta nemmeno se mi venisse riproposta con lo speciale sconto evasore. Nell’attesa, l’anziana segretaria fa una domanda interessante:

– Ma avete un fondo sanitario aziendale?

Già, abbiamo un fondo sanitario aziendale. Questo un po’ ci fa apparire più normali. Non siamo né degli stupidi né dei paladini del rigore morale. Siamo solo una coppia che sa usare i propri strumenti, e che sa che non ha senso ricorrere ad uno sconto illegale quando può pagare molto di meno ed onestamente. La signora non si è dimostrata una osservatrice particolarmente attenta pochi minuti fa, quando mi ha proposto uno sconto dopo che le ho agitato sotto il naso il bancomat per 20 minuti prima di chiedere di usarlo. Spero si sia fatta un appunto a riguardo. Può farsene un altro adesso: chiedere sempre agli sconosciuti se dispongono di un fondo sanitario prima di proporgli una truffa.

Bene, alla fine sembra che il bancomat dello studio si sia ricordato come si fa, e decide di compiere il suo dovere fino alla fine. La nostra fattura è la 1111, datata 11 maggio 2015. Lo studio è aperto da lunedì a venerdì, dalle 15 alle 19. Questo se qualcuno vuol calcolare il numero medio di fatture all’ora, considerando che nello studio lavorano dieci dottori.

Ce ne andiamo comunque felici per la bella notizia della bimba in arrivo, e ci dimentichiamo in fretta di questa parentesi di Italia. Decidiamo di aspettare qualche minuto e di tenere la gioia solo per noi, prima di iniziare a chiamare parenti e amici. E poi si inizierà a pensare al nome.

Ci vediamo a settembre, Jolanda. E’ un mondo di merda, siamo sicuri che ti piacerà.

It's a pirate girl!

Campane moleste

fra-martino

Abitare in centro al paese è bello, per tanti motivi, tipo che per fare una bella passeggiata non si deve prendere la macchina.

Abitare in centro può però essere anche brutto, se si ha a che fare con un campanile.

Il campanile è un edificio tutto particolare, uscito direttamente dal medioevo. Serviva a comunicare gli orari della vita religiosa e privata degli antichi cristiani, sprovvisti di orologio. Per la più classica delle tradizioni che siccome si è sempre fatto così, allora andiamo avanti senza pensarci troppo, non vi è chiesa che non venga costruita senza campanile, e non vi è campanile che non tenga fede al suo nome ospitando sulla sua cima un po’ di campane. A questo punto le campane possono comunicare a tutto il paese i loro messaggi, che più o meno sono questi:

  • serie di rintocchi bassi a distanza di circa un secondo, seguiti eventualmente da rintocchi più alti: è il segnale orario. I primi sono le ore, gli altri i quarti d’ora o le mezzore a seconda della convenzione del luogo.
  • Rintocchi alti e distanti: è la chiamata al rito, fatta in genere pochi minuti prima. Magari chi è ancora in casa arriverà tardi, a meno che non sia un sacrestano ritardatario, ma può essere utile per chi sta leggendo il giornale al bar della piazza, o è indeciso se parcheggiare o meno in seconda fila
  • Scampanate di sabato mattina: una coppia ha deciso nonostante tutto di sposarsi in chiesa, per far contenta la vecchia zia bigotta, ma zitella e benestante
  • Rintocchi funerei: è morto qualcuno. Forse la zia qui sopra, alla notizia che l’ultimo nipotino rimasto è gay ed è andato a sposarsi in Friuli

Più ancora altri segnali vari ed eventuali, ad indicare cerimonie, feste comandate e quant’altro. Ce n’è per tutti i gusti.

Uno di questi segnali in particolare mi risulta molesto ed incomprensibile. L’ho chiamato la scampanata fracassona e senza senso a 20 alle 7 di mattina. Proprio non ne colgo il significato: la prima messa è alle 7, ed è ovviamente dotata già dei suoi rintocchi di rito a 5 alle 7. La scampanata fracassona è un’altra cosa. In particolare:

  • non sembra seguire nessuna regola di armonia: forse si tratta di musica dodecafonica, ma è più probabile che sia solo cacofonica
  • è sempre uguale nel suo fracasso, quindi anche se potrebbe far pensare ad un collaudo mattutino del parco campane ad opera di un diacono pazzo, in realtà segue una sua misteriosa costanza
  • è rumorosissima. l’attacco in particolare viene fatto da quasi tutte le campane contemporaneamente, per poi proseguire in una sbrodolata furiosa di ardite dissonanze. Una spiegazione verosimile è che è passato un po’ di tempo dall’ultima volta che hanno fatto la pulizia dello spartito nel tamburo rotante della macchina campanaria, e nel frattempo ci siano finite alcune generazioni di mosche morte ad arricchire la melodia iniziale. Qualcosa del genere:

Il Signore delle  Mosche ha colpito ancora
Il Signore delle Mosche ha colpito ancora

  • è una gran rottura di scatole: molta gente a quell’ora è già sveglia, come il sottoscritto, ma c’è chi può dorme ancora volentieri, come la mia amata, o chi potrebbe dormire ancora un poco, ma al primo rumore si sveglia con grande entusiasmo e voglia di fare, come il nostro pirata di due anni, costringendo tutta la famiglia all’inizio ufficiale delle attività
  • c’è anche di sabato e domenica, giorni in cui tutti vorremmo dormire un po’ di più, e ci troviamo invece ad intonare un’ode mattutina per voci e campane a base di bestemmie ed imprecazioni

Non ho ben chiaro se queste scampanate ci siano tutte le mattine o se invece coincidano con eventi particolari dell’anno liturgico dei cattolici. So solo che da quando fa molto caldo e le finestre stanno aperte di notte, la mattina la sveglia è questa qui. Che poi sfortuna vuole che la posizione della finestra della camera da letto dell’infante filibustiere particolarmente esposta:

Il campanile molesto, ben visibile dalla finestra
Il campanile molesto, ben visibile dalla finestra

Insomma, un po’ è sfortunato. O meglio: lo siamo noi, visto che lui prende sempre la sveglia mattutina con un certo entusiasmo. Ma non intendo farlo dormire in cucina o in bagno solo per via di un prete con un concetto un po’ medievale sui disturbi alla quiete pubblica.

Quindi, dopo una breve navigazione nei mari procellosi dell’Internet sono approdato, come spesso accade, sull’isola di rancorosa serenità dell’ateismo italiano. Qui ho trovato conforto ed assistenza al mio problema in una pagina intitolata, neanche a dirlo, campane.

La spiegazione della questione è semplice: in Italia vige il concordato tra chiesa e stato. Lo stato è quello italiano, e la chiesa è quella cattolica, in situazione di privilegio. Se un muezzin si mettesse a salmodiare 5 volte al giorno da un balcone in centro al paese, sicuramente le autorità interverrebbero con più zelo che non a legare delle campane spaccatimpani.

Secondo il concordato, il parroco di turno può molestare tutto il paese con il suono delle campane esclusivamente durante le celebrazioni di un rito. Quindi, se c’è una messa alle 3 di notte, allora può renderne partecipe tutti quelli che per un motivo o per l’altro non sono riusciti a parteciparvi. Altrimenti deve rispettare le regole sull’inquinamento acustico. Anche lui, come ogni altro bravo cittadino. A 20 alle 7 di messe non ce ne sono, grazie al Flying Spaghetti Monster, quindi niente scampanate moleste, per favore.

A questo punto si può chiedere un intervento dell’ASL o dell’ARPA. Ma la cosa migliore, suggeriscono gli amici miscredenti dell’UAAR, è di fare intervenire il comune, che così si sobbarca lui le questioni tecniche. Basta chiedere il modulo e il resto viene da sé.

Gli amici dell’UAAR hanno prontamente risposto alla mia lettera per la richiesta del modulo da mandare al sindaco del paese, ed io l’ho adattato alle mie esigenze. Ecco qui quello che è stato infilato nella busta della raccomandata per il sindaco:

Campane moleste: un documento per il sindaco
Campane moleste: il documento per il sindaco

Qui il testo ad uso dei copia ed incolla:

Al Sindaco
del Comune di Gussago

a mezzo raccomandata a/r
Oggetto: immissioni acustiche provocate dal suono di campane della parrocchia di Santa Maria Assunta – richiesta di intervento.
Dalla nostra abitazione, sita in piazza Enrico Morganti 42 a Gussago, ci troviamo in una condizione di forte disagio dovuto al frastuono generato dal campanile della parrocchia di Santa Maria Assunta, sita in via Don Mongotti 1. In particolare ci siamo resi conto che, dovendo tenere le finestre aperte per il caldo, è già il terzo giorno di fila ad oggi che le campane iniziano a suonare all’impazzata alle 6 e 40 di mattina. La cosa ci disturba particolarmente, avendo noi un bambino di quasi due anni che viene sistematicamente svegliato da questo fracasso. La camera da letto del piccolo è posizionata proprio in vista del campanile molesto.

Tali immissioni sonore appaiono superiori ai limiti di cui al d.P.C.M. 14 novembre 1997, recante la Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore.

Si ricorda che anche le immissioni sonore prodotte dalle campane sono tenute a rispettare i limiti di legge, dal momento che nessuna disposizione esonera le chiese dall’osservanza di tale normativa, come del resto ha più volte riconosciuto la giurisprudenza civile e penale.

Si ricorda inoltre che il Comune, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. g) e dell’art. 14, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, Legge quadro sull’inquinamento acustico, è tenuto a svolgere il servizio di vigilanza per l’inquinamento acustico derivanti da sorgenti fisse.

Pertanto si invita codesta amministrazione a verificare, anche attraverso le competenze tecniche delle agenzie regionali dell’ambiente, se le immissioni sonore generate dalle campane della parrocchia di Santa Maria Assunta superino i livelli massimi consentiti dalla legge; ad attivare il proprio potere sanzionatorio in materia; ad adottare tutti i provvedimenti necessari, anche ai sensi dell’art. 9 della legge n. 447 del 1995, per garantire la tranquillità e la salute delle persone, pregiudicate dall’inquinamento acustico proveniente dalla suddetta sorgente.

Avverte che, in difetto di un sollecito intervento di codesto Comune, si agirà contro l’inerzia dell’amministrazione.

Con osservanza.

6/6/2015
Devoto Alberto

Mi piace il concetto di mettere il sindaco contro il prete, in un moderno scontro tra potere secolare e temporale, impero contro papato, persona eletta dal basso democraticamente contro persona nominata dall’alto per intercessione divina. Sempre che il sindaco faccia il suo dovere, ma per questo l’UAAR ha aggiunto giusto un’ultima frase minacciosa appena sopra la firma. Questo probabilmente per le esperienze passate riportate sulla loro pagina in cui alcune giunte si sono rivelate particolarmente baciapile nei confronti dei diritti dei preti di esercitare la loro rumorosa arroganza. Ma, si sa, questi politici sono sempre a caccia di voti, e da quelle parti se ne trovano parecchi.

Che si fa? Si aspetta la risposta del sindaco, massimo sessanta giorni. Ne parleremo quindi tra massimo sessanta concerti.

Contesti radiofonici

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Amo la radio, perché quando la si ascolta si possono fare tante altre cose, tipo cucinare, guidare, lavarsi i denti, preoccuparsi che un piccolo filibustiere di un anno e mezzo in cerca di nuove esperienze non si faccia del male. Non si può dire lo stesso del computer, che richiede una certa concentrazione, e in più attira le funeste attenzioni del citato minipirata. O peggio della televisione, che nonostante si discosti molto raramente dal passare programmi che non siano altro che un mucchio di maleodorante spazzatura, finisce comunque per calamitare l’attenzione di tutto il pubblico presente. Meno ovviamente del bambino, che sceglie quel momento per colpire qualche oggetto duro e spigoloso con la sua testa.

 

La radio è ancora più bella se si pensa che non si vede come è pettinato o vestito il conduttore, ma si sente solo la sua voce. E che questa voce è l’unico strumento che il conduttore ha per fare il suo mestiere, e quindi per convincerci a non girare la rotellina di sintonia della radio alla ricerca di una stazione con un conduttore che abbia una voce più gradevole, o qualcosa di più interessante da dire. Straordinariamente, molti famosi della televisione decidono prima o poi di passare alla radio. Questo per cercare di riscoprirsi in una vesta nuova e di mettersi alla prova, dicono loro, o più probabilmente perché in televisione il loro già insignificante talento è finito schiacciato miseramente dall’arrivo di una nuova generazione di inutili personaggi con l’unico pregio di essere più volgari e arroganti dei nostri fuggiaschi, e nel caso delle donne pure meno vestite. Insomma, la radio sa anche essere generosa e offre sempre asilo a questa schiera di miserabili. Ma è anche crudele, perché se in televisione uno era famoso per delle virtù non ben definite o per la fama stessa in quanto tale, è molto probabile che alla radio crollerà sotto il peso della sua arrogante nullità.

 

Insomma, alla radio ci si aspetta che si parli di qualcosa, che si affronti un argomento. Tale argomento è molto meglio se non è solo una chiacchierata salottiera tra un conduttore senza uno straccio di idea e di talento ed alcuni radioascoltatori che chiamano per dire la loro, spinti da inconcepibili manie di protagonismo; si finisce che una trasmissione nazionale va ad assomigliare alle annoiate discussioni che si stanno svolgendo in contemporanea in tutti i bar ed i parrucchieri d’Italia. Se voglio sentire persone qualunque che parlano di un argomento qualunque in modo qualunquista, allora è meglio spegnere la radio e andare in un bar qualunque o da un parrucchiere qualunque. O alla peggio su Twitter. Dalla radio mi aspetto di ascoltare qualcosa di interessante, che possa migliorarmi o perlomeno farmi riflettere.

 

Ma la cosa veramente affascinante della radio è che per molti versi rappresenta una delle frontiere dell’informazione, almeno quanto lo è Internet. Ma con Internet è facile: chiunque può dire la sua un po’ dappertutto: sul proprio sito nel ruolo di blogger, su quello di altri se si è dei troll, o addirittura su siti predisposti per fare dire la propria a tutti, se si decide di farsi risucchiare nel vortice informativo di un social network. E’ facile essere moderni e iconoclasti in Internet. Alla radio è diverso, perché la radio è comunque molto, molto vecchia, e per quanto ogni tanto si possa chiamare per dire la propria, rimane sempre un mezzo di comunicazione ad una sola direzione, in cui un tizio parla nel vuoto di un microfono, e se è bravo e l’orario non è proprio terrificante avrà la fortuna di avere un po’ di persone dall’altra parte che si lo ascolteranno senza poter rispondergli niente. Proprio per questo motivo, verrebbe da pensare che chi parla nei microfoni della radio voglia cercare un certo conformismo, per accontentare più persone possibile. A volte è così. Ma a volte no. E la cosa un po’ stupisce, in bene.

 

Per vedere quando la radio è conformista e quando non lo è, provo a rappresentare uno stesso scenario in due realtà un po’ diverse, come possono essere il primo canale della radio nazionale da un lato, ed una radio privata dall’altro. Come momento prendiamo la mattina di lunedì 6 aprile 2015. Per definire meglio il contesto, spiego che quel giorno era festa nazionale, essendo che il giorno prima i cattolici hanno festeggiato la ciclica risurrezione del loro dio mutaforma, e quindi necessitano un lunedì intero per riprendersi dai sacri fumi dell’incenso dei loro templi e dai più profani bagordi dei pranzi di famiglia. Quindi si sta tutti a casa per un giorno.

 

culto-evangelicoScenario numero 1: Radio 1, la radio nazionale

Qui le mattine delle domeniche e di tutte le feste cattoliche comandate sono occupate in toto da ogni forma di rubrica di stampo religioso: giornalisti ossequiosi, preti, vescovi e papi si alternano con ordine e timorata reverenza per dire la loro sulla loro divinità in una gara di ossequiosa deferenza. Alcune di queste trasmissioni permettono anche ad alcuni radioascoltatori di chiamare, purché adeguatamente selezionati. Per capirci, non ho mai sentito nessuno chiamare che si professasse dubbioso, pastafariano, satanista o, peggio ancora, ateo. La telefonata assume sempre i toni di una confessione o di un atto di fede, una specie di tentativo grossolano da parte del radioascoltatore di ingraziarsi i favori del suo dio, ma operato su scala nazionale.

 

Non voglio annoiarvi a morte con un resoconto completo. Se è questo che volete, potete accendere Rai Radio 1 nella mattina di un qualsiasi giorno di festa, e vi beccate un autentico campione in tempo reale. Vi faccio un breve riassunto indolore:

 

  • Giornalista ossequioso: sentiamo se c’è qualcuno in linea, pronto…
  • Radioascoltatrice timorata di dio: buongiorno a tutti, sono Crocifissa Addolorata, e chiamo da Monte Pio. Volevo farvi i complimenti per la bellissima trasmissione!
  • Prete presente per vigilare sul buon esito della trasmissione: che dio sia con te, cara Crocifissa Addolorata!

 

e via andare tra ringraziamenti reciproci e salamelecchi vari.

 

dr-feelgoodScenario numero 2: La radio privata

Se cambiamo contesto, cambiano anche i toni. Non siamo più nella riserva religiosa protetta della radio nazionale, ma in una radio privata. Neanche a dirlo, nel lunedì indicato stavo proprio ascoltando una di queste radio: cercherò quindi di ispirarmi ad una conversazione reale. Stiamo parlando della trasmissione Buongiorno Dr. Feelgood di Virgin Radio. La trasmissione funziona più o meno così: il DJ mette i dischi e ne parla brevemente. Ogni tanto un radioascoltatore chiama. Il DJ parla di tutto in un modo entusiasta e clamoroso, forse un po’ fuori luogo per l’orario mattutino. Probabilmente si sforza di mettere un po’ di buon umore in chi per cause esterne si è alzato prima di quanto avrebbe voluto, come il sottoscritto. Oppure il nostro uomo ha un serio problema di dipendenza di sostanze psicotrope.

 

Ecco più o meno a memoria mia la divertente telefonata che ho ascoltato:

 

  • DJ: buongioooorno da Doctor Fellgooooooood! Chi sei e da dove chiami?
  • A: Ciao, sono Annunziata e chiamo da Paesopoli.
  • DJ: Ciao Annunziata! E dicci, come farai in questa domenica di pasquetta?
  • A: Beh, tra poco andrò a messa, e poi andrò a pranzo da mio padre.
  • DJ: Ah! Sei credente quindi.

 

E la conversazione va avanti, ma al nostro uomo manca un po’ del suo nativo entusiasmo. Per alcuni momenti si avverte molto chiaramente il suo disagio, come se stesse portando a passeggio al parco l’ultimo esemplare femmina di ratto cincillà boliviano, senza guinzaglio. Alla fine però il professionista ne esce con una eleganza tutta sua, mettendosi a parlare di Bruce Springsteen e di come i suoi concerti assomiglino molto ad una celebrazione eucaristica. bruce-popeAnnunziata acconsente timidamente: un attimo prima si è detta una fan del Boss, ma forse trova il paragone un po’ blasfemo, e ha paura che ad accettare il paragone in modo troppo entusiasta scatenerebbe le ire vendicative del suo dio di misericordia. O forse si sta chiedendo come sarebbe andare ad un concerto rock tutte le domeniche mattina, con Bruce Springsteen in abiti talari e la E Street Band sull’altare dell’organo al posto del tizio polveroso con la chitarra e il maglione a girocollo. Anch’io ho i miei dubbi riguardo a questo paragone: non sono mai stato ad un concerto di Bruce Springsteen, ma me li hanno sempre descritti come straordinariamente divertenti e coinvolgenti, e non conservo un ricordo del genere delle messe parrocchiali.

 

Cosa c’è di strano in tutto questo? Come prima cosa, che una ragazza apparentemente normale chiami Virgin Radio per dire che va a messa. E non con l’aria di martirio di un’appartenente ad una di quelle pseudosette cattoliche di timidi missionari da oratorio, tipo focolarine o chissà cosa, magari in un disperato tentativo di fare proseliti in un territorio ostile. Ha detto che stava per andare a messa con un tono normale, come se io chiamassi alla radio per dire che sto per cambiare la sabbia del gatto o che sto facendo un bucato di mutande e calzini. Solo che la radio è strana, perché parlare di messe non è come parlare di cacche di gatto o di biancheria puzzolente. E’ come se la radio fosse una specie di porto franco alloggiato in una dimensione parallela in cui chi va a messa e quindi crede in una antica divinità è uno stramboide mbarazzante ed imprevedibile da trattare a distanza con riguardo ed attenzione. Insomma, diciamocelo: la radio privata è un posto normale, un mass media dedivinizzato.

 

So cosa state pensando, che non tutte le radio sono così. Anzi, proprio le radio dalle frequenze iù invadenti sono quelle che sgranano rosari dalla mattina alla sera, e alternano le telefonate di pie donne preoccupate su come va il mondo agli anatemi di preti medievali scagliati contro un mondo che si ostina a non volerli ascoltare nell’ostinata ricerca a migliorarsi invece che a ad arretrare. Vero. Ma considerando l’età media di conduttori ed ascoltatori, non ci darei troppo peso: nemmeno il tempo di una generazione possa risolvere il problema da sé.

 

Quello che alla fine mi fa amare la radio molto più della sua erede degenere chiamata televisione, è che è discreta. Per usare una televisione occorre starle davanti senza oggetti in mezzo. Questo perché funzionano con le immagini, e queste non vogliono ostacoli e vanno solo dritte. Quindi con il tempo le televisioni sono diventate sempre più grandi, per farsi vedere meglio da più persone allo stesso tempo, e hanno conquistato con sempre maggior prepotenza il ruolo dominante in una o più stanze di ogni casa. I salotti ormai andrebbero chiamati “stanze della televisione”, dato che tutti gli arredamenti sono orientati intorno al grande idolo televisivo. La radio invece usa i suoni, che sono più intelligenti delle immagini. Dato che i suoni rimbalzano sugli oggetti, succede che vanno un po’ ovunque senza troppi problemi. space-odissey-monolithQuindi le radio non devono per forza stare in mezzo ad una stanza o essere gigantesche per funzionare bene. Possono stare su un comodino, sopra un mobile, in tasca. E funzioneranno sempre bene. E la qualità delle radiotrasmissioni non verrà giudicata quasi mai in base alle dimensioni dell’apparecchio che le trasmette, come accade invece per la televisione. Se impariamo ad amare la radio invece della televisione, finisce pure che evitiamo di spendere interi stipendi per ingombrare le stanze di casa nostra con dei grossi monoliti neri da adorare tutte le sere, e possiamo investire le stesse risorse di tempo e denaro in altro modo. Tipo in uno di quei rari locali che vendono ancora birra senza che l’incasso sia devoluto a chi gli vende le immagini di partite di calcio proiettate dai televisori appesi in ogni stanza.

Il Gioco dei Papi

superpope

 

Questo papa è proprio straordinario. Nonostante sia stato eletto ormai da un paio di anni, non passano comunque due giorni di fila senza che faccia parlare di sé per qualcosa di eccezionale, che ce lo faccia amare ancora di più di quanto già non facevamo il giorno prima. E’ proprio incredibile quanto si possa voler bene ad una persona, in un modo così appassionato e viscerale. Soprattutto se si evita di chiedersi cosa è poi cambiato davvero nella chiesa cattolica in questi due anni, da giustificare tutto questo amore.

 

Quello poi che mi sembra veramente pazzesco è che un individuo di una portata così esagerata possa essere vissuto in sordina in Argentina per tutti questi anni, passando pure indenne e immacolato attraverso un regime militare, senza che dalla sua terra natale non ne sia giunta voce a noi, qui nella vecchia Europa. Ma non lo si poteva eleggerlo papa che so, tipo sessant’anni fa? Non oso immaginare dove sarebbe la chiesa adesso. Probabilmente un po’ più arretrata sul piano del riconoscimento dei diritti umani, ma sicuramente con molti fedeli entusiasti in più.

 

L’unica cosa che mi rende molto triste quanto sento tutte queste lodi sperticate è il pensiero al papa precedente, che neanche a dirlo è ancora vivo, e potrebbe rimanerci male. Come vivrà questo continuo e logorante confronto dal suo luogo di ritiro? Perché il paragone tra i due è proprio inclemente: tanto il secondo eccelle in ogni gesto mediatico, tanto il primo veniva sistematicamente ripreso per via di un modo di fare più tradizionalista, un carattere forse più schivo, o magari per la preoccupante somiglianza con l’imperatore malvagio di un noto impero galattico.

 

Per rendere ragione a questo papa passato ma ancora vivente, ma anche ad altri papi del passato che soffrirebbero terribilmente il paragone con Francesco il Magnifico, ho inventato un gioco. Ci si può giocare anche da soli, ma per farlo occorre fare riferimento alle avventure di minimo due papi. Ho deciso quindi di chiamarlo con grande originalità

 

il Gioco dei Papi

 

Cosa serve per giocare al gioco dei papi:

  1. una qualsiasi fonte di informazione asservita alla chiesa cattolica
  2. un gruppo di simpatici amici (per la versione di gruppo)
  3. alcolici di proprio gusto

 

Come si gioca:

Come prima cosa si decide quale deve essere la fonte di informazione. Può essere un periodico, un sito Internet, la televisione o la radio. L’unica cosa importante, come specificato nei punti del materiale necessario, è che tale fonte di informazioni sua scelta tra i numerosi mass media schierati, ovvero che fanno a gara a decantare le virtù dell’attuale, simpaticissimo pontefice. Scordatevi quindi di scegliere una delle testate di atei, pastafariani o comunisti che leggete di solito, perché con queste riviste il gioco non funziona.

 

Io, per esempio, ho scelto questa pagina qui, tratta da una sezione del sito del quotidiano “La Stampa” interamente dedicata alle avventure del papa più buono di tutti.

 

Una volta definito il terreno di gioco, a turno i giocatori devono leggere una frase, andando però a riadattare in tempo reale i contenuti su altri papi della storia a cui la straordinaria magnificenza dell’attuale papa si contrappone. Per esempio, nella pagina che ho scelto si dice:

 

Il Pontefice mette al centro una comunicazione a dimensione umana. Per papa Francesco il grande continente digitale non è semplicemente tecnologia, ma è formato da uomini e donne reali che portano con sé le proprie ansie, la ricerca del vero, del bello e del buono

 

Che belle parole, per una persona tanto straordinaria. Noi possiamo adattare questo periodo, ad esempio, al papa precedente:

 

Il Pontefice mette in disparte la comunicazione a dimensione umana. Per papa Benedetto il grande continente digitale è pura tecnologia, perché è formato da uomini e donne virtuali che portano con sé la propria arroganza, la ricerca di falsità, brutture e cattiverie.

 

Oppure:

 

Dio parla attraverso gli avvenimenti quotidiani e Papa Francesco ci spinge verso una mistica che dona spessore all’attualità, imparando a sentire, a vedere Dio che non si stanca mai di operare in ogni momento della nostra vita, della storia

che per il papa prima si riscrivere così:

 

Dio ci parla solo in casi eccezionali e Papa Benedetto ci frena con una mistica che vuole rendere inconsistente l’attualità, smettendo di ascoltare e coprendosi gli occhi di fronte ad un Dio che ormai ha rinunciato di operare in ogni momento della nostra vita, della storia

e così via.

 

Beve per punizione chi si sbaglia e attribuisce ingiustamente ad un papa del passato i meriti del papa attuale.

 

Il gioco finisce, come al solito, quando non c’è più niente da bere o da dire.

 

Ecco l’articolo citato con l’adattamento al papa precedente a destra:

 

versione originale dedicata a papa Francesco I

versione adattata a papa Benedetto XVI

Intervista a Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

Intervista a Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

A sorpresa verrà annunciato un riconoscimento speciale che sarà consegnato in un’udienza in Vaticano il prossimo mese nell’ambito del prestigioso premio giornalistico internazionale “Argil: uomo europeo”- quarta edizione. Senza alcun colpo di scena, nessun riconoscimento speciale verrà consegnato in Vaticano il prossimo mese nell’ambito del prestigioso premio giornalistico internazionale “Argil: uomo europeo”- quarta edizione.
La proclamazione ufficiale avrà luogo alle 12 di venerdì 13 dicembre, nello “Spazio Europa” della rappresentanza in Italia della Commissione Europea, via IV Novembre 149 Roma, preceduta alle 10 da un tavola rotonda sul tema “Quali sinergie di comunicazione istituzionale per (ri)avvicinare i cittadini all’Unione Europea?” Non ci sarà quindi alcuna proclamazione ufficiale alle 12 di venerdì 13 dicembre, nello “Spazio Europa” della rappresentanza in Italia della Commissione Europea, via IV Novembre 149 Roma, e non ci sarà nessuna tavola rotonda sul tema “Quali sinergie di comunicazione istituzionale per (ri)avvicinare i cittadini all’Unione Europea?”
“Quella del Papa è una comunicazione a dimensione umana”, a tracciare il profilo del “Francesco comunicatore” è l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. “A cinquant’anni dalla ‘Inter Mirifica’ si è passati dai mezzi di comunicazione sociale alla cultura mediatica”, afferma a Vatican Insider monsignor Celli. “Quella del Papa è una comunicazione a dimensione puramente divina”, a tracciare il profilo del “Benedetto comunicatore” è l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. “A cinquant’anni dalla ‘Inter Mirifica’ si è passati dai mezzi di comunicazione sociale alla totale chiusura mediatica”, afferma a Vatican Insider monsignor Celli.

Come si caratterizza la comunicazione di papa Bergoglio?

Come si caratterizza la comunicazione di papa Ratzinger?

“Il Pontefice mette al centro una comunicazione a dimensione umana. Per papa Francesco il grande continente digitale non è semplicemente tecnologia, ma è formato da uomini e donne reali che portano con sé le proprie ansie, la ricerca del vero, del bello e del buono. A questo proposito ricordo che oltre un miliardo e duecento milioni di persone abitano una delle grandi reti sociali, Facebook, che è uno dei “paesi” più grandi del mondo, senza barriere. Molti di loro non entreranno mai in chiesa, ma anche a loro abbiamo il dovere di annunciare il Vangelo, pertanto la Chiesa e i suoi pastori devono essere in quest’ambiente, devono evangelizzare in Internet, non attraverso Internet, perché è nell’ambiente della rete che sono chiamato ad essere chi sono”. “Il Pontefice mette in disparte la comunicazione a dimensione umana. Per papa Benedetto il grande continente digitale è pura tecnologia, perché è formato da uomini e donne virtuali che portano con sé la propria arroganza, la ricerca di falsità, brutture e cattiverie. A questo proposito cerchiamo di dimenticare che oltre un miliardo e duecento milioni di persone abitano una delle grandi reti sociali, Facebook, che è uno dei “paesi” più grandi del mondo, senza controlli. Molti di loro non entreranno mai in chiesa, e per questo motivo abbiamo deciso di non perdere tempo a portare loro il Vangelo, pertanto la Chiesa e i suoi pastori devono ignorare quest’ambiente, devono condannare Internet, non attraverso Internet, perché è nell’ambiente della rete che non si è in grado di rispondersi su chi si è veramente”.

Qual è la lezione di Francesco, che domani sarà proclamato comunicatore europeo dell’anno e ieri è diventato l’uomo del 2013 secondo la rivista Time?

Qual è la lezione di Benedetto, che domani non sarà proclamato comunicatore europeo dell’anno e ieri è non diventato l’uomo del 2013 secondo la rivista Time?

“Dio parla attraverso gli avvenimenti quotidiani e Papa Francesco ci spinge verso una mistica che dona spessore all’attualità, imparando a sentire, a vedere Dio che non si stanca mai di operare in ogni momento della nostra vita, della storia. Sentire, percepire, riconoscere il Mistero divino ogni istante, imparare a rinascere con Cristo sempre presente, innamorarsi dell’Infinito attraverso l’istante fugace in ogni cosa! Così il Papa ci interroga: ‘Come sono le nostre omelie?’ ‘Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente.’ L’icona di Emmaus è un modello di comunicazione coraggiosa, proposto da Papa Francesco ai Vescovi brasiliani, ma valido anche per noi in Europa. ‘Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso’”. “Dio ci parla solo in casi eccezionali e Papa Benedetto ci frena con una mistica che vuole rendere inconsistente l’attualità, smettendo di ascoltare e coprendosi gli occhi di fronte ad un Dio che ormai ha rinunciato di operare in ogni momento della nostra vita, della storia. Sentire, percepire, riconoscere il Mistero divino il meno possibile, imparare a fare a meno di un Cristo invadente, disilludersi di fronte al percepibile a causa della materialità di ogni cosa! Così il Papa ci interroga: ‘Come sono le nostre omelie?’ ‘Bisogna insistere con queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente.’ L’icona di Emmaus è un modello di comunicazione pericolosa, segnalata da Papa Benedetto ai Vescovi tedeschi, ma da evitare anche da noi in Europa. ‘Serve una Chiesa che se ne guardi bene dall’entrare nella loro notte. Serve una Chiesa che eviti di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa impossibilitata ad inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia chiudersi a quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso’”.

E’ ancora forte l’ispirazione del Concilio sui “comunicatori di Dio”?

E’ ancora forte l’ispirazione del Concilio sui “comunicatori di Dio”?

“Inter Mirifica apre la serie dei documenti emanati dal Vaticano II e a distanza di cinquantanni, rappresenta una tappa fondamentale nel rapporto tra la Chiesa e la comunicazione, pur con alcune debolezze che il successivo magistero cercherà di colmare. É la prima volta, infatti, che un Concilio ecumenico discute di comunicazioni sociali, ‘strumenti’ fondamentali nella missione della Chiesa, capaci di arrivare lontano con facilità, rapidità e fascino. Al tempo del Concilio i prodotti della tecnologia permettevano al mondo di far vivere in tempo reale gli avvenimenti. Oggi radio, televisione, carta stampata sono stati affiancati, in qualche caso superati, da altre cose meravigliose, computer, internet, cellulari e siamo di fronte ad una rivoluzione che all’epoca dell’Inter Mirifica era solo all’inizio, ma che allora, come attualmente, con modalità diverse, incideva profondamente sulle mentalità e gli stili di vita”. “Inter Mirifica apre la serie dei documenti emanati dal Vaticano II e a distanza di cinquantanni, rappresenta una tappa ormai senza significato nel rapporto tra la Chiesa e la comunicazione, pur con alcuni punti di forza che il successivo magistero cercherà di aggirare. É l’ultima volta, infatti, che un Concilio ecumenico discuterà di comunicazioni sociali, ‘strumenti’ sempre meno importanti nella missione della Chiesa, capaci di arrivare lontano con difficoltà, lentezza e fastidio. Al tempo del Concilio i prodotti della tecnologia hanno provocato la possibilità al mondo di far vivere in tempo reale gli avvenimenti. Oggi radio, televisione, carta stampata sono stati affiancati, in qualche caso superati, da altre cose terribili, computer, internet, cellulari e stiamo assistendo impotenti ad una rivoluzione che all’epoca dell’Inter Mirifica era solo all’inizio, ma che allora, come attualmente, con modalità diverse, faceva già gravi danni sulle mentalità e gli stili di vita”.

Eppure la Inter mirifica ebbe forti resistenze….

Infatti la Inter mirifica ebbe forti resistenze….

“Un anno dopo la sua promulgazione, Padre René Laurentin definiva l’Inter mirifica, ‘banale, moralizzante, gretto e poco aperto al ruolo dei laici’. Il decreto ‘profetico’ insomma scontentò un po’ tutti: i ‘progressisti’ perché ancora segnato da un linguaggio censorio e da un’antropologia ingenua, i ‘tradizionalisti’ per la mancanza di esplicite condanne e un’apertura giudicata eccessiva a strumenti potenzialmente tanto pericolosi per la morale e l’integrità della fede cattolica. Il risultato fu compromissorio e vide la riduzione dello schema originale del documento di oltre due terzi del testo e l’approvazione finale con il più alto numero di ‘non placet’ registrato in sede di votazione finale (1960 voti favorevoli e 164 contrari). Considero ancora oggi illuminanti le parole scritte dal cardinal Martini nel lontano 1991: ‘I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. E’ il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi’. La rivoluzione era iniziata. Lo stravolgimento della nostra cultura era già in atto. E lo è ancora oggi”. “Un anno dopo la sua promulgazione, Padre René Laurentin colpì nel segno definendo l’Inter mirifica, ‘banale, moralizzante, gretto e poco aperto al ruolo dei laici’. Il decreto ‘profetico’ insomma scontentò un po’ tutti: i ‘progressisti’ perché ancora segnato da un linguaggio censorio e da un’antropologia ingenua, i ‘tradizionalisti’ per la mancanza di esplicite condanne e un’apertura giudicata eccessiva a strumenti potenzialmente tanto pericolosi per la morale e l’integrità della fede cattolica. Il risultato fu compromissorio e vide la riduzione dello schema originale del documento di oltre due terzi del testo e l’approvazione finale con il più alto numero di ‘non placet’ registrato in sede di votazione finale (1960 voti favorevoli e 164 contrari). Considero ancora oggi degradanti le parole scritte dal cardinal Martini nel lontano 1991: ‘I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. E’ il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi’. La rivoluzione andava stroncata. Lo stravolgimento della nostra cultura andava fermato. E oggi più di ieri”.

Da cosa occorre ripartire?

Da cosa occorre ripartire?

“Dalle domande di Papa Francesco durante l’incontro con il Comitato di coordinamento del Consiglio Episcopale Latino Americano (Celam), prima di lasciare Rio de Janeiro il 28 luglio 2013: domande sul ‘rinnovamento interno della Chiesa’, sul ‘dialogo con il mondo attuale’. ‘Gli scenari e areopaghi sono i più svariati… e Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso.” Questo discorso di Papa Francesco, insieme a quello rivolto ai Vescovi brasiliani, costituiscono una piccola enciclica di ecclesiologia che descrivono cosa pensa il Santo Padre della Chiesa di oggi. Del resto la comunicazione presuppone l’ecclesiologia e questo è il senso profondo del cambiamento. La passione per la comunicazione appartiene al nostro ‘dna’, come esseri umani e cristiani, inviati dal Signore”. “Dalle domande di Papa Benedetto durante l’incontro con il Comitato di coordinamento del Consiglio Episcopale Prussiano (Cep), prima di lasciare Berlino il 28 luglio 2013: domande sull’ ‘invecchiamento interno della Chiesa’, sulla ‘chiusura al mondo attuale’. ‘Gli scenari e areopaghi sono molto limitati… e Dio è comunque assente: non è necessario cercarlo e quindi annunciarlo nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha sempre lo stesso andazzo.” Questo discorso di Papa Benedetto, insieme a quello rivolto ai Vescovi teutonici, costituiscono una piccola enciclica di ecclesiologia che descrivono cosa pensa il Santo Padre della Chiesa di oggi. Del resto la comunicazione non considera l’ecclesiologia e questo è il senso superficiale della stasi. La passione per la comunicazione non è nel nostro ‘dna’, come esseri umani e cristiani, inviati dal Signore”.

Qual è il modello?

Qual è il modello?

“E’ utile considerare la conversione pastorale espressa nel film ‘Centochiodi’, di Ermanno Olmi, in cui si privilegia l’autenticità dell’incontro personale. Il film è una ‘critica ai modus operandi di una cultura giunta ormai troppo lontana dai lidi dell’animo umano’, con il desiderio di rifondare la spiritualità dal basso, dalla materialità del vivere, dall’esperienza, quasi come a dire: ‘La verità non è nei libri ma nella vita e nell’incontro con gli altri’. Non basta ‘riaffermare’, ‘custodire’. Il messaggio non dipende tanto dall’emittente quanto dal destinatario, che non va considerato come un bersaglio, ma come un soggetto interlocutore coinvolto nel processo di dare e ricevere. Alla fine comunichiamo ciò che siamo, al punto che spesso nei processi comunicativi il ‘non verbale’ conta molto di più; la nostra testimonianza e la nostra coerenza sono fondamentali”. “E’ inutile considerare la conversione pastorale espressa nel film ‘Centochiodi’, di Ermanno Olmi, in cui si dà troppo peso all’autenticità dell’incontro personale. Il film è una ‘critica ai modus operandi di una cultura giunta ormai troppo lontana dai lidi dell’animo umano’, con la presunzione di rifondare la spiritualità dal basso, dalla materialità del vivere, dall’esperienza, quasi come a dire: ‘La verità non è nei libri ma nella vita e nell’incontro con gli altri’. Sarà sufficiente ‘riaffermare’, ‘custodire’. Il messaggio dipende dall’emittente e non dal destinatario, che va considerato come un bersaglio, e non come un soggetto interlocutore coinvolto nel processo di dare e ricevere. Alla fine non dobbiamo mai comunicare ciò che siamo, perché spesso nei processi comunicativi il ‘non verbale’ conta molto poco; la nostra testimonianza e la nostra coerenza sono poco importanti”.

Quando si amano le finestre

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Un pirata guardone ci mostra con un esempio il funzionamento di una finestra

Le finestre sono una grande invenzione. Sfruttando la misteriosa capacità che non mi spiego bene dei loro materiali, permettono alla luce, alle imprecazioni e agli sguardi indiscreti di passare attraverso di loro senza troppi problemi, fermando nel contempo altre cose più materiali, come i gatti, la polvere o il freddo.

 

In onore di queste incredibili capacità, uno dei più noti filibustieri della Valle del Silicio ha deciso di consacrare a loro nientemeno che un’intera serie di sistemi operativi, e questa scelta felicissima ha fatto di lui l’uomo che meno di chiunque altro al mondo ha problemi ad arrivare alla fine del mese. Per mantenere inalterato lo spirito discriminatorio delle finestre originali, anche queste sorelle digitali perseguono nel loro impegno di decidere cosa può entrare nel vostro computer e cosa no. Per fare degli esempi, non potranno mai entrare la possibilità d’uso da parte degli utenti non esperti senza avvalersi dell’aiuto di un tecnico, o la compatibilità con altri sistemi operativi. Esempi di cose che invece possono entrare: intere famiglie di virus informatici, la scarsa chiarezza nell’uso tale da mantenere gli utenti in un costante stato di paura ed incertezza ed infine, cosa non da poco, la certezza di avere un sistema costantemente in ritardo rispetto a varie alternative, spesso pure gratuite, oltre che soggetto ad elevata obsolescenza programmata.

 

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L’interno di un computer dopo l’aggiornamento al sistema operativo successivo

Per chi ancora non la conoscesse, spenderei alcune parole sull’obsolescenza programmata, ovvero quella brillante invenzione del ventesimo secolo consumista che permette ad un prodotto di essere considerato da rottamare molto prima di quanto sarebbe logico pensare in base alle sue caratteristiche, o di quanto ci saremmo aspettati al momento dell’acquisto. Se prendiamo ad esempio il mio spremiagrumi, la sua obsolescenza programmata non è determinata, come verrebbe da pensare, dal fatto che ha spremuto l’equivalente di una vasca olimpionica di succo d’arancia, al punto che l’acido stesso dei vitaminici frutti ne ha corroso l’intera struttura. No, la sua obsolescenza è determinata dalla rottura di un pezzettino di plastica interno su cui poggia con forza l’intero corpo rotante del mozzo spremitore. Verrebbe da pensare che questa sia una rottura prevista e facilmente evitabile in cui saranno incorsi tutti quelli che come me hanno comprato per pochi euro lo stesso modello di spremiagrumi, e che serva a costringerci a comprarne un altro di qualità paragonabile ma di altra marca. Se prendiamo invece i computer, l’obsolescenza programmata funziona così: si compra un computer, ed insieme a questo ci si ritrova sopra il sistema operativo delle finestre, anche se l’azienda che l’ha fatto non è la stessa che ha fatto il computer. Quindi si porta a casa il computer e lo si usa per qualche anno, vantandosi per i primi con gli amici di quanto sia bello e veloce, e ricevendo i complimenti per l’acquisto oculato. Dopo qualche anno ci si accorge che lo stesso computer, per fare le stesse cose che venivano fatte all’inizio quando era nuovo, impiega diversi ordini di grandezza di tempo in più rispetto all’inizio. Tipo che quando era nuovo bastava premere il tasto di accensione e neanche il tempo di sedersi e già un suono garrulo ci avvertiva che le finestre erano tutte pronte, bramose di scattare ai nostri ordini. Ora invece quando lo si accende si fa a tempo a prepararsi un caffè e a fare una lunga telefonata. Se poi si è impazienti e si torna un po’ prima del tempo si avvertiranno dei rumori preoccupanti provenire dall’interno del calcolatore, come se dentro la struttura metallica tutte le schede di silicio su cui correvano invisibili e silenziosi gli elettroni fossero state sostituite da tapis roulant su cui si affannano dei criceti asmatici. Cosa ci avete fatto da allora, per ridurlo così? Probabilmente niente, a parte usarlo con gli stessi programmi che avete usato fin dal primo giorno che l’avete comprato. Questa si chiama l’obsolescenza programmata.

 

Tutte le caratteristiche citate hanno tributato rapidamente un grandissimo successo al sistema operativo delle finestre, complice solo in parte in fatto che comprare un personal computer senza le finestre preinstallate e cosa quasi impossibile da qualche decennio a questa parte. Se però vogliamo farne a meno e proviamo a chiedere indietro i soldi, allo occorre prepararsi a fronteggiare non tanto gli avvocati delle finestre, quanto quelli delle aziende che hanno prodotto il computer. Già, perché cambiare spesso computer non aiuta solo l’azienda fondata dall’uomo più ricco del mondo, ma anche le numerose aziende che prosperano costruendo computer sempre più potenti e fragili, e montandoci sopra il sistema operativo delle finestre. Nell’informatica vale su tutte una regola generale:

 

“Ogni nuova versione di un qualsiasi oggetto informatico, sia esso un computer, un componente o un suo accessorio, un sistema operativo, un programma, un tablet, un telefonino o quant’altro, ha sempre una serie di straordinarie caratteristiche che lo rendono assolutamente irrinunciabile per qualunque amante della tecnologia, e su tutte la peculiarità di essere un oggetto di cui vergognarsi non appena uscirà la versione successiva.”

 

Questo è quello che accade nel mondo dell’informatica, degli elettrodomestici e di tutte quelle cose che costa meno comprarle nuove che ripararle. Da un lato i venditori di spremiagrumi ci tengono ad incrementare il loro esiguo fatturato, ed invece di farmi spendere una volta sola una cifra importante per darmi lo spremiagrumi che servirà me ed una mia linea dinastica nei secoli, preferiscono distribuire i miei investimenti su numerosi spremiagrumi che verranno ricomprati in genere poco dopo lo scadere della garanzia del predecessore. Dall’altro lato i venditori di computer e affini, che mettono ogni sforzo nel produrre oggetti sempre più moderni e delicati.

 

Ma chi altro ci guadagna da tutto questo, oltre a loro? Ci guadagno io. Perché di mestiere faccio l’uomo dei computer, e rientro quindi in quella grossa categoria di persone che traggono beneficio dalle vergognose lacune e dalla complessità dei prodotti di cui sono più esperto della maggior parte della gente. Grazie alla straordinaria fragilità e complicatezza dei computer e dei programmi che ci girano sopra, un’azienda è arrivata al punto di pagarmi mensilmente uno stipendio in cambio dei miei sforzi costanti di minimizzare le spese informatiche di acquisto e riparazione, oltre che di aiutare i miei colleghi ad usare i loro computer attraverso l’incessante cambiamento studiato per lasciarli in un costante stato di ansia. Allo stato attuale delle cose, ho pure l’arroganza di ritenermi indispensabile, ma ho ipotizzato alcune delle cause esterne che potrebbero portare alla mia perdita del lavoro:

 

  1. i produttori di computer e di programmi dichiarano di aver costruito un computer perfetto che non si rompe, non si consuma usandolo e che non può essere migliorato in nessun modo, per cui una volta che un utente ha imparato ad usarlo, non avrà più bisogno dell’aiuto di nessuno per aggiustarlo o imparare cose nuove
  2. i produttori di computer e di programmi decideranno che i loro prodotti dovranno essere intuitivi come uno spremiagrumi e robusti come una forchetta, e non il contrario. A questo punto chiunque sarà in grado di imparare da solo ad usarli senza l’aiuto di un tecnico

 

Finché i computer saranno complicati come una forchetta data ad un americano per mangiare degli spaghetti, e avranno una durata paragonabile al mio spremiagrumi, allora il mio posto di lavoro è tranquillo. Ma come riesco a coniugare questo lavoro basato sullo sfruttamento di una falla nel sistema con la mia etica pastafariana? Ci ho pensato a lungo, soprattutto nelle pause che mi prendo a leggere blog informatici durante l’orario di lavoro. La soluzione è questa: facendolo nel migliore dei modi che posso, anche se va contro il mio interesse. Significa orientare le persone a fare quelle scelte che le portano ad avere sempre meno bisogno di figure professionali come la mia, o perlomeno di cavarsela nel migliore dei modi anche senza di me. Ha senso fare così? Sì, per moltissimi motivi. Per esempio, se perdo un po’ di tempo ad insegnare ad un collega a non cliccare sugli allegati compressi delle email minacciose ricevute da un misterioso indirizzo della polizia, ne risparmio molto successivamente. Tempo che posso impiegare in attività più stimolanti e produttive che non litigare con un virus ostinato e con un collega ancora più ostinato che continua a ripetermi per l’ennesima volta i motivi che l’hanno portato all’insano gesto, nel tentativo disperato di riabilitarsi.

 

Ma non è solo lavoro stipendiato. A volte è anche aiuto ad amici, a parenti, o a parenti di amici o ad amici di parenti o di altri amici. Già, ma per chi non lo sapesse, gli informatici sono la categoria di tecnici più sfruttata in assoluto nel settore domestico. Molto più dei biologi, a cui pochi amici chiedono di rafforzare un ceppo batterico o di migliorare un lievito particolare per la propria birra fatta in casa, o anche dei chimici, a cui raramente viene chiesto di fabbricare un bomba con del concime, o di cucinare delle metanfetamine. Ormai computer e affini sono molto diffusi, tutti con la loro innata tendenza a non funzionare nel modo atteso. L’aiuto dell’esperto non guasta mai.

 

Chiaramente regalare la propria professionalità rimane un piacere prima che un dovere là dove non si va oltre la conoscenza diretta. Ovvero, è normale che l’amico o il parente prossimo possano godere dell’aiuto dell’informatico pagandolo in gratitudine o in birre serali. Quando i gradi di separazione vanno ad aumentare, allora la faccenda cambia un poco. Perché è vero che l’informatico appartiene in genere a quel gruppo di professionisti che ama il suo lavoro al punto tale da praticarlo anche nel tempo libero come hobby principale. Ma è anche vero che non sempre muore dalla voglia di uscire dal suo antro informatico per sorbirsi un’altra dose di problemi altrui conditi il più delle volte con una salsa di isteria e frustrazione. Quindi, chiaramente, va definito il disturbo.

 

Almeno nel mio caso, il disturbo è proprio disturbante. E non solo perché non amo essere disturbato quando mi sto dedicando alle mie attività private, comprendenti una casa, una quasi moglie, un figlio ed una impegnativa attività letteraria in Internet. Ma anche perché mi sento un poco in colpa per farmi dare un compenso dovuto per delle opere che il più delle volte sono proprio elementari: non è tanto quanto quello che chiederebbe il filibustiere della Valle del Silicio per fare lo stesso lavoro, ma è comunque un po’ di più di quello che prende un uomo delle pulizie o un baby sitter, che pure non fanno cose difficilissime. Mi rispondo che sono cose che comunque vanno fatte, che se non le faccio io finisce che le fa qualche collega, e che questo collega che non conosco non è detto che sia onesto come me, che il mio scopo personale è prima di tutto di portare al minimo le possibilità che la stessa persona debba chiamarmi un’altra volta per un lavoro che ho fatto male o per un nuovo problema. Non campo di questo e posso permermi di cercare di farlo il meno possibile e nel migliore dei modi. Non sono sicuro che tutti i miei colleghi facciano così.

 

E perché ho deciso di scrivere tutto questo? Ma perché fino ad adesso tutto quello che ho detto, fatto e consigliato è finito senza nefaste conseguenze né per me né per le persone che ho aiutato. Ma qualche giorno fa mi sono scontrato con la mia nemesi, colei che peggio di tutte le persone per cui ho lavorato mi ha costretto a dare il peggio di me per portare a termine un lavoro che ho odiato dal primo all’ultimo secondo che ho impiegato per farlo. Un lavoro che mi ha costretto a rinnegare ogni cosa in cui credo della mia professione, ogni regola deontologica del buon sistemista informatico.

 

Dall’inizio. Ho una collega che in passato ho aiutato col suo computer. L’ho fatto volentieri: con i colleghi vale spesso la regola che per alleviare il loro senso di debito, io accetto il lavoro in cambio di una cena deliziosa innaffiata da abbondanti dosi di vino, e porto a termine il lavoro in buona compagnia e in un generale stato di ebrezza. Non mi ricordo minimamente che problema avesse il computer, ma sono certo di aver mangiato una tagliata di cavallo delle più tenere e succose della mia vita. Nell’occasione ho avuto modo di conoscere anche la sorella della mia collega. Scopro che lei si è ritrovata ad essere la responsabile informatica della sua scuola, nonostante insegni tutt’altro. Una volta tanto quindi i problemi a cui ho risposto erano pure di un livello un po’ più elevato. Fa anche piacere, non lo nascondo.

 

Passa qualche anno. fino al giorno infausto della settimana scorsa. La mia collega entra nel mio ufficio chiedendomi se sono disposto a fare lavori anche per conoscenti di conoscenti. Si può fare. Quindi dice il problema: una conoscente della sorella ha ereditato un netbook, uno di quei piccoli portatili a basso costo caduti più o meno in disgrazia dopo l’arrivo l’arrivo dei tablet. Il tablet, nota positiva, non ha su il sistema operativo delle finestre, di cui si è parlato tanto all’inizio. Ne ha su un altro, nientemeno che Ubuntu. Raro, ma a volte capita. Per chi non sa cosa è Ubuntu, spiegazione: Ubuntu è uno degli ultimi figli della nobile dinastia di Linux. Forte di una buona dose di marketing, di una comunità di supporto gagliarda e, a differenza di gran parte delle distribuzioni di Linux, di un orientamento poderoso verso gli utenti di livello dal medio in giù, Ubuntu è diventato molto popolare. Nel senso che a livello mondiale si parla sempre di briciole, ma per essere Linux è una grossa comunità, attiva e propositiva, con anche delle buone garanzie sul futuro. Per chi non sa neanche cosa sia Linux, basti dire che è il figlio prediletto di Unix, il primo grande sistema operativo di cui ha senso parlare e da cui è nato pure l’attuale sistema operativo MacOSX, e da cui anni fa è stato malamente scopiazzato il primo sistema operativo delle finestre. Quindi possiamo dire che se parliamo di Linux Ubuntu, non stiamo parlando dell’ultimo figlio della serva, ma casomai dell’erede più promettente della più nobile delle casate, seppur decaduta. Altra cosa da dire riguardo a Linux, è il loro tipo di licenza. Normalmente si dice che è gratis. Non è propriamente corretto. Sarebbe meglio dire che è opensource, ovvero che tutto è disponibile per chiunque senza segreti e ci si può fare quello che si vuole, a condizione che se ci lavori sopra per tirarne fuori qualcosa a tua volta, queste nuove cose siano rese di nuovo disponibili. Strano sistema di licenze, mi piace molto l’idea che qualcuno l’abbia pensato. Piace agli utenti che lo usano perché sono liberi di fare quello che vogliono dei loro computer, piace di meno alle aziende produttrici quando sono grosse e voraci multinazionali gelose dei loro segreti. Piace molto a chi ama un sistema operativo svincolato dalle logiche di mercato, e quindi ottimizzato per funzionare al meglio su qualsiasi macchina lo si installi. Già: incredibile a dirsi, questi tipi di sistemi operativi non hanno l’abitudine dei loro concorrenti a pagamento di richiedere sistematicamente dei computer all’ultima moda per installarci la loro ultima versione. E forse per questo sono particolarmente adatti ad ogni tipo di computer, e sono molto poco amati da chi i computer li costruisce per venderli, e non ha piacere quando lo si cambia troppe poche volte.

ubuntu-cerotto
Il raro cerotto di Ubuntu che può comparire al posto della costosissima bandierina svolazzante

 

Torniamo al netbook con Ubuntu preinstallato di prima. Ho già detto che è raro poter comprare un computer senza che ci siano già sopra le finestre, per cui fa un po’ strano vedere un portatile con il simpatico cerottino arancione di Ubuntu. E’ bello però che alle volte ci sia la possibilità di avere un portatile senza doverci pagare sopra la licenza di un brutto e molto diffuso sistema operativo come quello delle finestre. Il fatto poi che ci sia Ubuntu non vuol dire niente: ci hanno messo Ubuntu perché è facile e affidabile, e quindi con ogni probabilità incontrerà i gusti dell’utente, ma essendo che Ubuntu non ha nessuna licenza, non ci si deve sentire in colpa se appena arrivati a casa ci si mette una qualsiasi altra versione di Linux, o di quello che si vuole. Si può fare, fatelo. Divertiteli a provarli tutti e poi lasciateci quello che vi è piaciuto di più. Altro che finestre.

 

In un mondo ideale, l’utente che si reca in un centro commerciale troverà in vendita solo computer con sopra sistemi operativi senza licenza, come Ubuntu o i suoi fratelli. Poi deciderà da sé se è o meno il caso di buttare via qualche centinaia di euro per rovinare il suo computer con sistema operativo protetto da licenza per farlo invecchiare precocemente, vittima dei virus e della cattiva programmazione. Chiaramente queste scelte uno deve essere libero di farle anche in un mondo ideale. Quello che proprio non va bene in un mondo non ideale come il nostro è che occorre lottare perché un computer possa essere acquistato senza che nei soldi spesi ci siano quelli per una indesiderata e fastidiosa licenza d’uso delle finestre. Ovviamente l’utente può metterci quello che vuole sul suo computer, ma non vedo perché si debba pagare un brutto sistema operativo che uno può pretendere di non usare, premiando la già ricchissima azienda che l’ha prodotto, quando poi si decide di usare un altro sistema operativo scritto da una comunità di onesti sviluppatori, a cui in coscienza ognuno deciderà se inviare o meno una qualche decina di euro.

 

E che cosa è ancora più fastidioso di tutto questa schifosa politica del sistema operativo pagato e preinstallato? Quello che è successo a me: che mi si consegni un netbook con sopra Ubuntu, e mi si chieda di metterci sopra le finestre. Per me è la somma di tutte le stupidità umane, l’apoteosi della più sublime e spudorata forma di ostinata ignoranza in materia. A chiedermelo è la mia collega, e mentre lo chiedeva già si stava scusando, come a dire che sapeva già la risposta ma che lo doveva fare perché non è una sua richiesta, ma di un’altra persona che neppure conosce. Io le dico quello che penso. E non è solo una questione di pagare una persona per peggiorare il proprio computer. C’è sottinteso il problema della licenza del sistema operativo, che se la si compra è vergognosamente costosa, e se si decide di farne a meno si espone il computer ad una serie di rischi non trascurabili.

 

L’argomento della discussione si sposta sul piano economico. Qualcun’altro è già stato contattato per fare questo lavoro, e ha chiesto 100 euro. Niente male davvero, un prezzo alto per un lavoretto di un paio di ore espletato al 90% in automatico da una chiavetta USB. Ma un prezzo non abbastanza alto da pensare che sia compresa l’installazione di una licenza originale. Penso quindi che se questo lavoro non lo faccio io per meno, c’è già qualcun’altro pronto a farlo per la cifra indicata. Decido quindi che se lo farò io, servirà anche a togliere 100 euro dalle tasche di uno sconosciuto informatico disonesto che campa sulla stupidità della gente.

 

Dal piano economico si passa al piano umano: dietro la mia resistenza, la mia collega si mette a parlarmi dell’interessata, dicendomi che è una persona anziana: ha 60 anni. Penso subito ai miei genitori. Mio padre di anni ne ha 70, e fa regolarmente acquisti da venditori statunitensi di Ebay ricordandosi di pagare con Paypal. Mia madre che di anni ne ha 65 usa il tablet per prenotare le sue vacanze e per chiedermi insistentemente con Whatsapp nuove foto di mio figlio caricate in Dropbox. Non credo che non sia una questione di età, quanto di testa. La signora forse non rientra nella categoria degli anziani che pensano a quello che fanno, che sanno quello che vogliono e che votano chi dovrebbero. Ha un figlio che si è preso un netbook con sopra Ubuntu, bravo, ma poi glielo ha regalato, e non so se è per generosità o scarso uso. Non vorrei giudicare, ma se le regalava anche giusto quel paio di ore per spiegarle due cose sul suo computer, la signora avrebbe evitato di buttare via dei soldi.

 

Insisto perché la mia collega dica a sua sorella di insistere, ma già ho poche speranze. Se tutto va bene, non se ne parlerà più, altrimenti vedrò comparire nel pomeriggio la mia collega con il netbook della discordia.

 

E mentre attendo nervoso, penso anche ad una soluzione alternativa su misura per la signora e di minimo sforzo per me. Siccome questa persona userà il computer per niente per cui non vada più che bene Ubuntu, allora ho questa idea:

 

finestre.10.04
Finestre 10.04, il miglior Finestre mai esistito

La foto che vedete ritrae la miglior versione del sistema operativo delle finestre che sia mai esistita. E’ la 10.04. La si ottiene installando su un computer la distribuzione 10.04 di Ubuntu, il Pangolino Preciso, e quindi snaturarlo solo graficamente con un orribile sfondo delle finestre scaricato da Internet. Questa versione del sistema operativo offre grande tranquillità e piacere all’utente amante delle finestre, e nel contempo gli fornisce un sistema stabile e leggero, in grado di assolvere alle sue necessità nel migliore dei modi.

 

Nel pomeriggio è arrivata la mia collega con una borsina, contenente lo sciagurato computer. E il lavoro l’ho fatto, senza limitarmi a cambiare lo sfondo. Avrei tanto voluto, ma non conoscendo la persona, non ho voluto rischiare. Quando la mia collega si è presentata nel mio ufficio, per giustificarsi ha calcato la mano sulla persona: “fa la bidella, ha la sua età, e se non gli metti su le sue finestre poi passa il tempo a telefonare a mia sorella perché non riesce a fare niente!”. Dentro di me ancora mi chiedo cosa mai debba fare questa bidella con questo computer per cui Ubuntu proprio non vada bene: programmare con Visual Studio? Giocare a World of Warcraft? Disegnare con Adobe Illustrator? Proprio non riesco a capire.

 

Faccio il lavoro con tutte le precauzioni del caso, tra cui su tutte la copia dell’immagine del disco ancora ubuntato. Spero sempre che in un ipotetico futuro la cliente, quando il suo computer delle finestre sarà più o meno così

 

toolbar-essenziali

 

e farà un po’ fatica a navigare, magari mi chiederà di rimettere tutto come prima. Non vorrei che mi si cogliesse impreparato.

 

Ad ogni installazione di finestre che faccio, mi ritrovo ad usare lo straordinario programma di navigazione preinstallato, e a godere della sua pagina predefinita, che da vent’anni a questa parte rimane ancora misteriosamente un sito di gossip dall’indirizzo britannico. Uso sia il programma che il sito solo una volta, giusto per scaricare da Internet una delle numerose migliori alternative. Facendo questo conto di incrementare le statistiche secondo cui il programma di navigazione ed il sito delle finestre servono agli utenti solo a sostituirli.

 

Fatto questo, che è già più di quello che mi è stato chiesto, per onestà metto anche uno a caso dei soliti antivirus gratuiti, senza il quale l’onesto sistema operativo delle finestre si prenderebbe ancora più virus e porcherie varie di quelle che già si prenderà.

 

Potrei anche dire di aver finito, ma so già non c’è sistema operativo delle finestre senza il suo programma dell’ufficio. Già però credo di essermi sporcato le mani abbastanza, e da anni mi rifiuto di installare la suite da ufficio delle finestre per gli utenti di casa, che più che scrivere una lettera all’amministratore del condominio o tenere i conti di casa in un foglio di calcolo non fanno. Installo quindi una delle ottime alternative gratuite.

 

Il lavoro è finito, il computer è stato rovinato ottimamente. Devo giusto fare quei venti o trenta riavvii per caricare gli innumerevoli aggiornamenti alle finestre, per turare almeno i problemi e le falle di sicurezza scovati fino a questo momento; dopo poche ore di saltuari click di mouse ho finito anche questo: il computer è pronto, e giusto un pelo più lento che non all’inizio del lavoro.

 

Ovviamente non mi ha dato piacere fare questo, e sento il bisogno di insistere ancora una volta. Scrivo quindi una lettera, non per la bidella amante delle finestre, ma per la sorella della mia collega. La mia lettera vuole essere un disperato prontuario scritto a mente fredda per fornire gli argomenti a chi si ritrova a parlare con un troglodita dei vantaggi di Linux rispetto a Windows. All’inizio avrei voluto scrivere direttamente alla cliente, ma non ero sicuro che sapesse leggere, né tantomeno che avrebbe avuto la forza e la costanza di arrivare fino in fondo alla lettera. Ho preferito quindi affidare le mie vaghe speranze a quella persona che so già avere usato Linux in passato, cercando in lei un alleato comunque valido ed informato.

 

Ecco la lettera:

 

Considerazioni su un lavoro sporco


Ciao.

Scrivo queste parole per cercare di lavarmi la coscienza del lavoro appena fatto.

Prendere un computer con montato Ubuntu, formattarlo e montarci le finestre senza che ce ne sia la benché minima necessità va contro la mia morale, oltre che alla deontologia del sistemista informatico.

D’altra parte so che purtroppo l’ignoranza, quando è unita ad una ferma resistenza al cambiamento, porta a queste bestialità.

Riassumo qui di seguito i punti che vorrei che tu dicessi alla cliente, magari omettendo le amene considerazioni iniziali. Parlando con tua sorella so già che concordi con me su molte di queste cose.

  1. Ubuntu è gratuito, Le finestre non lo sono. Questo significa che quando si formatta un computer con sopra Ubuntu per metterci le finestre, o si possiede già una licenza usabile delle finestre, o la si acquista per qualche centinaio di euro, o si “altera” il sistema operativo, per fare in modo che funzioni senza una licenza legalmente acquistata. Sai anche tu che questo oltre che illegale, genera una serie di problemi. Per esempio, le finestre si aggiornano periodicamente per risolvere bachi e vulnerabilità, ma anche per rilevare versioni non originali. Non posso escludere che tra due giorni o tra un anno le finestre si accorgano che la licenza non è originale, e smettano di funzionare. Se questo dovesse accadere non lo ritengo un problema mio, come a dire che il mio lavoro non copre nessuna garanzia sulla licenza. Ed escludere gli aggiornamenti per evitare questo problema non è una ipotesi da prendere in considerazione, perché significa avere un s.o. esposto a vulnerabilità.
  2. Ubuntu è un s.o. veloce e leggero, le finestre non lo sono. Il motivo principale è che le finestre campano sulla vendita di licenze, e quindi sono contente quando un computer smette di funzionare perché è troppo vecchio, costringendo l’utente a comprarsi un nuovo computer ed una nuova licenza. La politica adottata dalle finestre e da moltissimi loro colleghi è quella dell’obsolescenza programmata, ovvero una serie di accorgimenti per fare in modo che nel giro di pochi anni un computer che andava benissimo diventi un baraccone inutilizzabile senza che ci sia motivo: il computer è lo stesso, ed i programmi che vengono usati sono gli stessi. Ma se prima ci metteva 20 secondi ad accendersi, tra un anno, chissà perché, ci metterà 2 minuti. Ubuntu non segue questa politica. Ubuntu non prende soldi dalla vendita di licenze o di computer nuovi, e quindi non ha interesse a diventare inusabile per costringerci a cambiare computer. Ubuntu come molti altri sistemi Linux prende soldi da offerte volontarie e dall’assistenza telefonica per gli utenti business, e quindi cercherà in tutti i modi di fare la migliore figura possibile dandoci un s.o. veloce, sicuro e che duri nel tempo.
  3. Ubuntu è sostanzialmente immune ai virus, le finestre non lo sono. Questo non solo perché è un sistema operativo migliore, quanto perché i virus vengono fatti apporta per colpire i s.o. più diffusi, vedi le finestre o le mele. Un virus fatto per un sistema Linux non riuscirebbe a diffondersi, dato lo scarso numero dei suoi computer. Questo significa che un computer con sopra Ubuntu senza antivirus è comunque molto più sicuro di un computer con le finestre e un antivirus aggiornato. I virus vengono fatti apposta per aggirare le protezioni degli antivirus, ricordiamolo, e quindi quando esce un virus all’ultima moda, non c’è antivirus che tenga.
  4. Non è solo un problema di virus. Le finestre stesse, con la loro diffusione e la scarsa alfabetizzazione della stragrande maggioranza dei loro utenti, hanno favorito la proliferazione di un gran numero di programmi indesiderati che si installano nel computer semplicemente non stando troppo attenti a dove si clicca in Internet. Sto parlando di toolbar varie ed eventuali, ma anche di finti antivirus ed inutili ottimizzatori di prestazioni. Con Ubuntu questo non succede, per lo stesso motivo del punto 3. Un computer con sopra le finestre dato in mano ad un utente poco pratico diventerà nel giro di pochi mesi un baraccone lento e impestato, mentre lo stesso pc con Ubuntu rimarrà giovane e veloce.

Potrei andare avanti ancora, ma credo di aver citato i principali punti.

Detto questo, io il lavoro l’ho fatto. Oltre ai driver necessari, ho messo Google Chrome, Firefox, un antivirus e Libreoffice per i documenti.

Se però grazie al presente documento riesci a convincere la cliente a tenersi Ubuntu, io sarò più che felice di prendere la copia del disco che ho fatto e di rimettere sul computer il suo Ubuntu tale e quale a come me l’ha dato. Per dimostrarle la mia felicità e buona fede poi non le farò sborsare un euro per tutto il lavoro che ho fatto. Se invece insiste che Ubuntu non le va bene perché la sua paranoia è tale da non ammettere argomenti, allora le do il suo computer con sopra le finestre e mi paga il lavoro. Beninteso che non rispondo di nessun problema di licenza e affini, come detto al punto 1, così come della lentezza del sistema operativo di cui al punto 2 o ai problemi di virus e porcherie varie derivanti da bachi dello stesso s.o. o da uso improprio, di cui ai punti 3 e 4. Non è solo la mia politica, ma quella di ogni azienda di hardware o software in generale. Beninteso che non voglio che ci vada di mezzo tu, quindi ti suggerisco di adottare la stessa mia politica con la signora, perché so per esperienza che da queste cose una volta dentro non ci si esce più, e l’ostinazione e l’ignoranza sono attitudini che vanno pagate, e non incoraggiate.

Se però in futuro dovesse cambiare idea, sappi che io per un po’ di mesi terrò da conto la copia del disco con sopra Ubuntu. E sarò felice e disponibile a rimettercelo senza troppi problemi.

Concludo con una simpatica considerazione: se invece che formattare tutto mi limitavo a mettere il logo delle finestre sullo sfondo della scrivania, bastava poi dire che quella era l’ultima versione delle finestre e non credo che se ne sarebbe accorta. Perché le icone sono icone sia con le finestre che con Ubuntu, e per farle funzionare ci si clicca sopra alla stessa maniera. E vorrei proprio capire quale sia il problema che spinge una persona a buttare via dei soldi in questo modo.

Alberto, 6 febbraio 2015

Come è andata a finire? Che la mia collega ha letto subito la mia lettera, non fosse altro perché le piace come scrivo. Forse l’ha letta anche sua sorella. Poi immagino che questa mentre consegnava il computer alla cliente abbia fatto lo sguardo eloquente del tipo “guai a te se mi chiami ancora adesso”. Quindi alcune banconote di piccolo taglio hanno fatto il percorso inverso. E la storia è finita.

 

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