Videoconferenze e campanili

Achille, di gran lunga il mio Campanile preferito, grazie Wikipedia

Non si fa che parlare di videoconferenze: mai come in questo periodo, causa virus, ne stiamo facendo tantissime. Certo: sto parlando di chi lavora in ufficio e può farlo da casa: non credo che categorie sociali come macellai, borseggiatori o becchini potranno mai svolgere il loro lavoro da casa. Sembra però che quella vaga tendenza di spostare il proprio lavoro a casa che era un processo timido e lentissimo fino ad alcuni mesi fa, ha subito una accelerata impensabile, e di questo noi telelavoranti ne siamo molto contenti.

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Per chi non sa più a che santo votarsi

Una delle cose più divertenti del cattolicesimo è il suo numero esagerato di santi. La cosa è per me divertente perché a suo tempo mi avevano venduto la religione cristiana come quella che metteva un po’ di ordine nel caotico pantheon dell’impero romano, che come accettava ogni popolo nei confini del suo regno (dopo averli aggrediti e schiavizzati, certo) così ne acquisiva le divinità più meritevoli o alla moda. Il dio dei cristiani si propone come onnipotente, quindi senza i confini di competenza tipici degli altri dei, ma sopratuttto unico, e come tale aveva pure quell’atteggiamento un po’ arrogante di negare la divinità all’imperatore romano, ma alla fine è andata come sappiamo: un dio solo e basta.

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Il dramma della visibilità per vescovi e ciarlatani vari ai tempi del virus

Questa storia del virus ha fatto emergere tante cose impreviste. Molte che sono delle gran scocciature, tipo che ci sono un bel po’ di umani che non possono lavorare, con quello che ne consegue. Mischiate a queste persone che traggono beneficio svogendo un lavoro utile all’umanità come può essere guidare un treno o spillare birra in un locale, ci sono però un bel po’ di parassiti sociali il cui scopo principale è quello di mantenere la propria credibilità ed i benefici che da questa conseguono. Per semplicità potremmo definire queste persone “ciarlatani”.

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Cosa si può fare quando non si può fare niente

Sono ormai tre settimane (quattro, due? vai a ricordare) che non si può fare niente. Si esce di casa solo per procucarsi il cibo, vestiti come il protagonista dell’Eternauta, di cui guarda caso faranno una serie tra poco, approfittando del fatto che l’unico personaggio presente indossa costantemente la tuta anticontagio. A furia di stare in famiglia e a cercare di comportarsi in modo normale ci stiamo quasi abituando: si lavora da casa, non si va da nessuna parte, niente parchi, amici, nonni e cugini. Niente gelaterie anche se c’è bel tempo. Niente cinema, niente shopping, niente di niente. Si sta a casa e basta.

La mattina mi ascolto un po’ di RadioBrescia7, con Ettore Ravelli che passa tutto il tempo a dire

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La religione ai tempi del virus

Questa bella foto non l’ho fatta io: l’ho presa qui

Quello che mi sconcerta di più di tutta questa cosa del virus è che i preti e tutta quella gente lì non sa bene cosa dire e cosa fare. E’ una cosa veramente strana perché di solito hanno una ricetta per tutto: crisi economica, immigrazione, come, perché e soprattutto con chi fare l’amore, ce ne è per tutti. Come se il loro ossequioso gregge di pecorelle non fosse in grado di avere un’opinione o di prendere una sola decisione autonoma e avesse sempre bisogno di qualcuno che lo faccia al posto loro. Adesso però che c’è un problema oggettivo che sembra fregarsene altamente dell’autorità religiosa, ecco che le cose cambiano un po’. Per la prima volta da che so io il fedele è invitato ufficialmente a non andare a messa, in spregio al terzo comandamento:

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Gli dei, l’HACCP e la prevenzione dei rischi in generale

E’ una tradizione un po’ di tutte le religioni di successo di pensare in grande: grandi edifici di preghiera, grandi poteri attribuiti al loro dio, grandi miracoli, grandi esplosioni in luoghi affollati da un gran numero di persone, grandi ricompense o punizioni per chi si comporta bene o male. Sembra proprio che la discrezione non sia la chiave del successo per una religione.

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