Il partito laico

Laika, la famosa cagnetta russa che per ironia della sorte è morta nell’alto dei cieli

Una cosa che mi renderebbe estremamente felice è di poter votare un partito con un unico obiettivo: la laicità. Voglio che sia un partito, sia chiaro fin da subito: non un movimento, un sentimento popolare o quelle cose lì non ben definite che vanno di moda adesso ma che alla fine ci si chiede a cosa servono e che intenzioni hanno. In più non voglio che sia un partito ateo o pastafariano, altrimenti siamo al punto di prima, perché non voglio che si arrivi ad uno stato ateo e nemmeno che promuova la mia religione come religione di stato, anche se è considerata di gran lunga la migliore da tutti i suoi appartenenti. Magari sarebbe divertente all’inizio essere governati da una ciurma di pirati scanzonati, ma credo che nel giro di qualche generazione si arriverebbe a compiere gli stessi errori in cui immancabilmente cadono le religioni di ogni tempo e luogo quando passano dalla condizione di martirio a quella di potere. Come pure gli stati in cui l’ateismo è stato considerato come una specie di religione obbligatoria sono tutti posti in cui non andrei volentieri a vivere, che hanno in più lo svantaggio di generare nuove ondate di màrtiri religiosi. Meglio parlare di laicità.

Magari non a tutti è chiaro cosa sia la laicità, e perché vada difesa e promossa. E chi poteva trovare migliore definizione del concetto di laicità se non dio stesso? Ecco quindi la sintetica ma incontestabile parola di Gesù Cristo, leader indiscusso di tutte le religioni cristiane nonché unico punto in comune tra loro. Come il suo evangelista riporta (Mt 22-21) Gesù, stuzzicato da alcuni signori che non sapevano di finire registrati nel vangelo, un giorno disse:

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Un lavoro sorprendente

A volte mi capita una cosa stranissima. Succede che si sta parlando con altre persone di cose così, del più e del meno, e che all’improvviso uno dei presenti faccia una domanda, apparentemente innocua, che suona più o meno così:

Ma che lavoro fa Giuseppe?

La cosa strana che mi sorprende non è la domanda, quanto la risposta. Non sempre, perché molto spesso Giuseppe fa un lavoro normale, tipo il falegname, il terzino o l’eroe dei due mondi. Sarà però che vivo in un luogo ad alta concentrazione di edifici religiosi cattolici (l’Italia), ma capita spessissimo che Giuseppe faccia questo lavoro veramente stranissimo:

Giuseppe fa l’insegnante di religione.

Non riesco mai ad abituarmi all’idea di quante persone servano per insegnare una religione ad altre persone, e soprattutto che non siano sufficienti tutti quegli edifici molto vistosi sparsi un po’ su tutto il territorio italiano, come questo qui:

E pure popolati da uomini adulti con abiti appariscenti e magari un po’ ridicoli come questi qui:

Insomma, in Italia è quasi impossibile trovare un posto da cui non si possa vedere anche solo la punta di un campanile, una croce di legno attaccata ad una parete o un televisore con dentro un vescovo intento a spiegarci qualcosa. Inoltre il loro dio si è imposto a suo tempo come il migliore di tutti e che per ulteriore sicurezza ha pure inventato il concetto di monoteismo. Ma tutto questo ancora non è sufficiente a diffondere il verbo e a mantenere unito il loro popolo, e sono necessarie altre persone, questa volta vestite in un modo molto meno appariscente, per insegnare questa religione anche nelle scuole.

E Giuseppe questo fa: insegna la religione cattolica nelle scuole. Ho dato per scontato che si tratti di religione cattolica un po’ per abitudine ed un po’ per quanto detto sopra. Per quanto questa professione mi stupisca ogni volta che la sento, so che nessun insegnante di religione proviene da ambienti satanici, o che sia un vecchio monaco scintoista giapponese.

E qui sta tutto il mio stupore: ci sono chiese, cattedrali, oratori ed una serie di altri edifici religiosi bellissimi, in posizioni centrali o strategiche, molto più belli dei bar sperduti dove io vado a bere birra in onore del mio dio: tali edifici sembrano proprio predisposti ad attirare adulti ma soprattutto bambini tra le braccia amorose del loro personale religioso. A chi non vorrebbe naturale spendere un po’ del proprio tempo in questi ambienti così grandiosi, edificati a prova terrena di un dio tanto poderoso? Niente da fare: ancora non è sufficiente. Serve proprio il nostro Giuseppe l’insegnante di religione, a ripetere ancora le stesse cose, ma questa volta in una brutta aula scolastica di fronte ad una platea di alunni svogliati ed indisciplinati. Questo è quello che mi stupisce ogni volta.

Dopo lo stupore, mi viene sempre lo stesso pensiero: anche a me piacerebbe essere un po’ come Giuseppe. Mi piacerebbe andare all’università, laurearmi in ateismo e quindi diventarne un docente nelle scuole elementari del mio paese. Certo, non insegnerei solo l’ateismo, esattamente come Giuseppe vi verrebbe a dire che nella sua ora di religione non fa solo catechismo cattolico, ma ci piazza anche due chiacchiere veloci sulle altre religioni. Nel mio caso, essendo che dell’ateismo, una volta compreso che dio non esiste, rimane un po’ poco da dire, avrei ben più tempo da dedicare ad argomenti corollari, tipo ad insegnare ad usare la propria testa e a non credere a tutto quello che ci viene detto e che deve essere accettato per fede, soprattutto se a dirlo è un adulto vestito come un pagliaccio del circo.

Questo mi piacerebbe, ma in Italia ancora non si può. Pazienza, un giorno ci arriveremo, forse.

Ah, chiaramente l’ora di religione di Giuseppe dovrebbe rimanere come alternativa didattica all’ora di ateismo. Solo che gli cambierei il nome. Qualcosa come: l’ora di miti e leggende.

L’età dell’innocenza

220px-TheAgeOfInnocenceEssere padri è un po’ questo: rivivere le tappe della propria vita nella crescita dei propri figli, in un viaggio affascinante e meraviglioso attraverso le loro scoperte ed esperienze. Magari cercando di evitare che i propri figli debbano incorrere negli stessi errori, o peggio che si trovino a dover subire passivamente le stesse tare che ci sono stare iniettate nella testa, e di cui ancora sopportiamo le conseguenze.

Ed infatti eccomi qua, padre amorevole dal cuore pastafariano e dal fegato ateo, intento a compilare il modulo per la preiscrizione del nostro bambino alla scuola dell’infanzia. Quella che una volta era chiamata scuola materna, e prima ancora nell’era giurassica, quando l’abbiamo fatta noi, asilo. Solo che asilo fa brutto, con quel suono un po’ da parcheggio ed un po’ da rifugiati, mentre scuola ha tutto un sapore di apprendimento, perché quando si hanno quattro anni giocare va bene, ma meglio se lo si fa in modo intelligente e stimolante.

Ma a quanto pare non è solo giocare in modo intelligente e stimolante. Perché dal modulo salta fuori che già devo decidere se sia il caso o meno che il mio bambino a tre anni partecipi alle lezioni di educazione cattolica, o in alternativa destinarlo ad altre non ben identificate attività o portarmelo a casa. Già, in un asilo statale. Già, a tre anni. Che ancora non gli insegnano nemmeno l’italiano e la matematica, forse perché è troppo piccolo e a tre anni magari è più il caso di farlo divertire ancora un po’, povero cucciolo. Ma questo non vuol dire che debbano avere la decenza e la cortesia di risparmiargli le sue prime ore di indottrinamento forzato al credo del dio più alla moda in Italia da quell’anno infausto che è stato il 313.

Devo dire che questa conversazione l’ho già tenuta in una birreria un paio alcune ore fa, solo con toni molto meno pacati; le mie invocazioni all’altissimo hanno fatto girare un po’ di teste dai tavoli vicini, non fosse altro per il suo accostamento, tipico bresciano, ad un noto animale della fattoria. Qui cercherò di essere più formale.

Non voglio soffermarmi sulle questioni economiche, ovvero sulla pratica vergognosa di insegnanti assunti dalla curia ma pagati con i soldi di tutti, per insegnare delle cose fuori del controllo di uno stato che ha l’arroganza di definirsi laico. Quello che mi spaventa è che hanno abbassato il tiro: una volta si iniziava a sei anni a bombardarci la testa con le avventure di Gesù e la sua allegra compagnia di soli uomini. Ora, forse che i bambini sono più svegli dei loro padri, si è deciso di iniziare molto prima. Immagino che ormai a sei anni questi scolaretti siano già degli contestatori in grado di mettere in crisi un insegnante di religione che vuol parlarti di un dio con dei superpoteri degni di un eroe Marvel. Se si inizia tre anni prima, magari c’è ancora speranza che gli si possa far prendere per buona e assodata la storia del dio buono che compie miracoli a furor di popolo e che per motivi misteriosi finisce a giustificare le peggiori porcherie della storia dell’umanità, operate in suo nome. Di questo passo andrà a finire che ci chiederanno se vogliamo avvalerci del diritto di usufruire delle letture di passi scelti del vangelo direttamente sulle pance delle mamme in dolce attesa.

Chiaramente ho deciso di non avvalermi di questo importante diritto. Lo avevo già deciso da tempo, dopo lunghe riflessioni. Da un lato ho pensato che se sono quello che sono lo devo all’ostinata propaganda cattolica che siamo costretti a subire in questo stato falsamente laico, che mi ha spinto alla nausea e al rigetto. Ma d’altro lato ho pensato alla fatica che ho fatto per pulirmi il cervello da tutte queste sciocchezze del dio zombie buono che vuole salvare un’umanità bovina ed impotente. Sono certo che se terremo sgombra la mente dei nostri bambini più tempo possibile, poi avranno maturato da sé gli strumenti per respingere una storiella tanto presuntuosa quanto sciocca ed irrilevante.

Certo, la mia sembra già una forzatura da ateo che vuole togliere ad un bambino innocente la possibilità di aprire la sua mente alla conoscenza di una religione. In uno stato normale sarebbe vero. Ma non siamo in uno stato normale. E l’ora di lezione che non voglio che mio figlio segua non è l’ora di religioni, con un insegnante qualificato che espone in modo imparziale i vantaggi e gli svantaggi che si possono trovare ad aderire ad ogni religione del mondo, e soprattutto a restare atei. Purtroppo quest’ora di lezione è dedicata interamente all’indottrinamento cattolico. Non ti apre la mente alle più interessanti possibilità del momento, quali il veganesimo, il satanismo o il pastafarianesimo, ma ti chiude la testa e ti spara ad alta velocità sul primo tratto del binario del cattolicesimo, da cui scenderai comunque troppo tardi, se avrai mai questa fortuna. Non è una possibilità, ma una condanna. Quindi no.

E non sto privando mio figlio proprio di niente. Magari suona strana la parola ateo associata ad un bimbo di due anni e mezzo, ma è quello che è, da quando è nato. E dovremo tutti abituarci all’idea che tutti i bambini nascono atei, sia in Italia, che in India o a Gerusalemme, e che si ritrovano ad essere qualcos’altro è solo perché vengono costretti per via ereditaria quando sono troppo piccoli per opporsi. Io non farò così. Se un dio esiste, lo sfido a manifestarsi di persona per convincere mio figlio ad adorarlo. Ma da solo, senza nessuno squallido intermediario. Può portare tutti i cespugli ardenti che vuole, se lo ritene utile alla sua causa.

Comunque, questa è la foto di mio figlio, poco più di un anno fa:

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Quindi è evidente che le sue scelte le abbia già fatte, senza che nessuno, dio o umano che sia, gli abbia dovuto dire niente.

Due parole sui Valdesi, per chi volesse tenere lo stesso dio ma cercare di adorarlo con un po’ di stile

Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.
Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.

La settimana scorsa, mentre un milione di persone si sono ritrovate a Roma a manifestare affinché i loro diritti non venissero estesi ad altre persone, quello che potrebbe essere giudicato come il padrone di casa ha deciso di cambiare aria, e ha colto l’occasione per andare a prendere il fresco sulle Alpi dei valdesi. Ne ha approfittato per chiedere scusa al loro capo per i piccoli screzi e le incomprensioni del passato, ovvero le persecuzioni sistematiche e le stragi di intere comunità operate contro la loro chiesa a partire dal 1184, quando il papato romano disponeva ancora di un esercito operativo. Tutti ad applaudire l’umiltà di questo papa. D’altra parte, si fa sempre bella figura a chiedere scusa per colpe di cui non si è responsabile, commesse fisicamente da altri in periodi storici remoti. Anch’io devo ricordarmi di chiedere scusa agli elefanti perché i miei antenati hanno sterminato i loro cugini mammut sul finire dell’ultima glaciazione. Si potrebbe intendere il gesto del papa come un brillante modo di distrarre l’attenzione dalle proprie magagne. Considerando che sono passati 831 anni dal 1184, significa che di questo passo nel 2846 d.C. ci sarà un papa particolarmente umile e comunicatore che chiederà scusa del trattamento che la chiesa ha riservato negli anni bui del ventunesimo secolo agli omosessuali ed alle vittime della pedofilia; magari farà questa pubblica ammenda per coprire qualche imbarazzante scandalo galattico o qualche discriminazione nei confronti di una razza aliena con un numero di genitali poco consono ai valori evangelici.

Ma alla fine ai valdesi importa poco di essere usati per distrarre l’attenzione da altro, o come strumento per far vedere a tutti quando è generoso e umile questo papa. I valdesi sono una comunità molto tranquilla e rispettosa, poco propensa a far sapere ogni volta al mondo intero di quello che pensano di questioni non di loro competenza. Se i valdesi balzano alle cronache è per quello che fanno silenziosamente, mai per quello che dicono di fare o che faranno urlandolo con ogni possibile mezzo stampa, o per quello che pretendono che gli altri facciano.

E quello che fanno i valdesi non è che sia poi così incredibile, ma diventa straordinario se paragonato a quello che fanno o non fanno i cattolici. Per esempio i valdesi non fanno tutte queste storie quando si tratta di riconoscere agli omosessuali il diritto di sposarsi, e questo già molto tempo prima di gran parte degli stati cosiddetti laici. Non hanno nemmeno tribunali speciali per giudicare i più orrendi reati del propri dipendenti col tacito benestare della giustizia italiana, per dirne un’altra. Un’altra cosa che fanno i valdesi è che danno l’8 per mille in beneficenza, tutto quanto. Non solo: hanno anche delle soglie, molto basse, per impedire che ne vada troppo ad associazioni di volontariato o beneficenza legate direttamente a loro. Non fanno come la chiesa cattolica, che lo fa solo a parole nei suoi bellissimi ed ingannevoli annunci pubblicitari, e che poi del miliardo di euro che riceve ogni anno più dell’ottanta per cento serve a coprire i costi e l’inefficienza mai documentati di una chiesa che non sa stare in piedi da sola e che richiede l’aiuto ingente di uno stato servile.

Un po’ di tempo fa stavo bevendo qualche birra al solito posto con una persona, che oltre che essere una carissima amica è anche una fedelissima della chiesa cattolica. Direi pure la loro cliente ideale. Cerco sempre di non finire sugli argomenti religiosi, perché so che non se ne esce mai. O meglio: io oppongo le mie inoppugnabili argomentazioni razionaliste volte a dimostrare che il loro dio non esiste, ma lei si difende con pazienza dicendo che dio va preso per fede, che a lei le parla e la aiuta e via dicendo. Il fatto poi che entrambi abbiamo delle pinte di birra in mano non aiuta certo chi ci vede a scambiarci per due intellettuali in dibattito, quanto piuttosto in due ubriachi sordi.

Non è un grande scenario, e non credo sia diverso da quello che accade in ogni bar d’Italia il venerdì sera. L’ultima volta però ho avuto un’idea: quella di proporle una visita ad un rito valdese, così, per provare un’alternativa. Mi sono offerto di accompagnarla io stesso. Già c’ero stato un po’ di volte un paio di anni fa, e mi ero trovato benissimo, sebbene fossi già un non credente senza speranze. L’idea della visita ai valdesi non era malvagia: sono cristiani come i cattolici, quindi non sto proponendo un’alternativa al suo dio permaloso nella forma di un vitello d’oro o di un serpente piumato, quanto un modo alternativo di adorarlo.

In più le elenco i motivi, tralasciando quelli citati qui sopra, che alla mia amica possono interessare di meno:

  1. Hanno una bella comunità, molto partecipe. Probabilmente è proprio l’effetto di far parte di una chiesa di minoranza rispetto allo strapotere cattolico che aiuta a sentirsi un elemento attivo ed importante di una comunità e non una pecora impotente nelle mani di un vescovo distante ed intoccabile.
  2. I lori riti sono divertenti ed interattivi, ma non solo per l’iniziativa di un parroco un po’ anarchico o anticonformista: sono proprio così. Se il cattolicesimo assomiglia al web 1.0, ovvero quello in cui c’erano dei siti Internet statici da cui si poteva al massimo recuperare il numero di telefono di un negozio e non c’era uno straccio di blog o social network, la chiesa valdese è il web 2.0, dove chiunque può dire la sua durante il rito, anzi è invitato a farlo. Non c’è un prete supponente a vomitarti addosso tutto quello in cui devi credere, senza possibilità di intervento o dibattito, ma una buona occasione per scambiare idee o discutere su una pagina del vangelo. Io ho partecipato a quattro o cinque funzioni, e non mi ricordo di che ce ne fossero state due uguali. La mia preferita rimane quella per cui si era stati invitati la volta prima a portare qualcosa da mangiare, e finito il rito ci si è spostati nel refettorio a pranzare e a divertirsi insieme.
  3. Si vota per essere rappresentati nella gerarchia ecclesiastica. E se si è valdesi da abbastanza tempo, si può chiaramente anche essere votati. Senza per forza essere pastori. Con la chiesa cattolica è un po’ diverso: c’è un papa che nomina i cardinali ed i vescovi, e questi si preoccupano di votare per un nuovo papa quando questo incontra la morte o, caso più unico che raro, decide di dimettersi un po’ prima. Poi a cascata i vescovi nominano tutto il resto a scendere, fino ai preti, ai diaconi, alle catechiste e agli insegnanti di religione. Questi ultimi poi devono anche comportarsi in modo conforme, altrimenti possono essere licenziati senza giusta causa, e si ritrovano quindi a dover rispondere anche della propria vita privata solo per mantenere il posto di lavoro. Che però, incredibile a dirsi, non viene pagato dalla chiesa ma dallo stato. Siamo nel medioevo. Il fatto poi che i valdesi votino per i loro rappresentanti aiuta molto a tenere la chiesa vicina al senso della realtà: sono i fedeli a decidere la direzione della loro chiesa attraverso delle elezioni regolari, e non la chiesa a cercare di forzare la mano per imporre ai suoi fedeli il modo di pensare di un gruppo chiuso di vecchi dinosauri.
  4. Le gerarchie sono laiche, ovvero una cosa è essere pastore, una cosa è rappresentare e decidere per la chiesa. Ovviamente un pastore può anche essere eletto ed è facile che sia portato a farlo, ma ad un certo livello della gerarchia i laici non possono scendere sotto una certa percentuale dell’assemblea.
  5. I pastori hanno anche un altro lavoro. Già, non ci sono preti di professione. E fare il pastore quindi non è un lavoro, come non comporta carriere religiose.
  6. Le donne possono fare il pastore (pastoressa? pastora?) al pari degli uomini, senza limitazioni. I maschietti del cattolicesimo hanno paura di non so cosa, e negano ogni forma di carriera ecclesiastica alle donne, che al massimo possono diventare badesse di un convento o caposala in un ospedale, sempre però indossando abiti talebaneschi.
  7. Si impara l’inglese, perché gran parte dell’assemblea è formato da stranieri. Quindi da un lato gli stranieri imparano l’italiano, ma dall’altro gli italiani si beccano un po’ di parti del rito ripetute in inglese, ed un altro po’ solo in inglese. Male non fa di sicuro. Per i cattolici la lingua ufficiale è ancora il latino, figurati se sono pronti a far recitare la messa in inglese.
  8. C’è chi ti tiene i bambini mentre vai al rito. Pensa un po’, una specie di nido aziendale o di Småland dell’Ikea, ma in chiesa. I valdesi sono più avanti pure delle aziende italiane o dello stato stesso, che se sei stato così arrogante da decidere di riprodurti e poi non hai né i genitori a portata di mano né i soldi per mettere il bambino in un nido, sono solo cavoli tuoi. Lasciando il bambino in una sala giochi, seguito ovviamente da una persona qualificata della comunità e non da un prete cattolico, non si costringe un bambino a fare cose che odia e non è in grado di capire, come stare seduto per un’ora su una panca scomoda ad ascoltare un sacerdote che sproloquia di cose un po’ distanti dalla realtà.
  9. Se vuoi, puoi chiedere di tenere un sermone, anche se non sei un pastore. Questa poi è davvero sensazionale.
  10. Non stanno ad incasinarsi troppo sui dogmi, come se avere una madonna vergine fa poi tanto la differenza. Quella dei dogmi l’ho sempre vista come una grossa tara per qualsiasi religione. Neanche a dirlo, l’unico dogma della religione pastafariana è il rifiuto di qualsiasi dogma, come sta scritto qui nella sezione Further. Un conto è che mi si dica di fare qualcosa di poco chiaro sulla fiducia, e se non è proprio una scemata o una terrificante violazione dei diritti degli altri, allora posso anche fare uno sforzo. Ma che mi si venga a dire che se non credo a delle assurdità totali va a finire che non sono un fedele esemplare e che magari verrò anche punito in un secondo momento, allora direi che è meglio lasciar stare. Anche perché voglio ricordare che i fedeli di una religione non sono tutti laureati in teologia, e che ogni dibattito con un qualsiasi ubriacone da bar sul fatto che la madre del loro dio abbia concepito e partorito da vergine, va sempre a cadere nell’ilarità generale del pubblico. Se poi il tipo religioso è permaloso ed è in grado di procurarsi delle armi, succedono anche dei bei casini, e la colpa è sempre tutta di questi dogmi strampalati.

 

Ci sono tanti motivi per cui per un cattolico di nascita può essere affascinante affacciarsi ad una cerimonia valdese. Poi, lo ripeto, il dio è lo stesso. Solo una versione aggiornata e corretta di quello che già adora. Per dirla in un altro modo: non gli ho chiesto di passare a Linux: è più un aggiornamento gratuito da Windows Millennium a Windows 7.

Ho ottenuto successo? No. Col senno di poi mi viene anche da dire ovviamente. Perché? Perché la mia amica, a cui voglio un mare di bene, vive in una religione che ha costruito tutta la sua fortuna sulla paura, o timore, come lo chiamano loro. Ad iniziare dalla mela di Adamo ed Eva, tutto quello che ne viene è sempre la paura a porsi delle domande, a provare a cambiare qualcosa. Per come la vedo io, sarei contento di avere un dio che mi porge tutto il sapere proibito concentrato in un unico frutto, e ne mangerei ogni giorno, seguendo la regola d’oro dell’ateo umanista:

una mela proibita al giorno toglie il dio molesto di torno

Ogni giorno mi sveglio e decido se voglio affrontare la mia giornata da ateo, da Pastafariano o da seguace di un qualche dio che non ho ancora avuto il tempo di inventare. Ma questo sono io, e così credo siano la gran parte degli atei, degli agnostici e dei liberi pensatori vari che abitano il mio pianeta. Ma questo modo di pensare che per me è tanto naturale, ricco e stimolante, tale non è per la mia amica. Lei, ogni volta che ha un dubbio, invece di sguinzagliare il suo pensiero ha imparato a rinchiuderlo dentro di sé, a cercare la risposta in una qualche frase sentita mille volte da un prete o da un’autorità riconosciuta. In questo contesto, anche solo il proporgli di andare ad assistere al rito di una chiesa protestante diventa un bestialità, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Ma perché? Non me lo ha saputo nemmeno dire. Probabilmente non se ne rende conto nemmeno lei, ma per me è ancora la paura. Paura di una punizione divina o di doversi di colpo ricostruire da capo una nuova identità, come se non stiamo mettendo in dubbio il prete, ma dio stesso e tutto quello che siamo.

E che se pure dovessimo provare e poi non ci piace, il gesto sconsiderato vada comunque confessato al proprio prete, con chissà quale imbarazzo: “sono andato a messa dai valdesi, così, per provare a vedere se è bello come dicono…” ma stiamo scherzando? Guai! E se poi ci piace? A questo punto credo che abbiamo talmente paura di cambiare e di quello che potremmo diventare, cioè diversi da quello che siamo, da non ammettere che se cambiamo rimaniamo comunque noi stessi, solo con indosso un abito migliore che ci fa stare più comodi. Siamo pronti a rinunciare a noi stessi, a metterci in gioco? Evidentemente no. Come se dovessi morire per far rinascere un’altra persona nel mio corpo. Una persona valdese, probabilmente più felice e realizzata, ma pure sempre al posto di un me stesso, cattolico mortificato. Detto così sembra una bestialità, ma credo che sia proprio questo, la paura di cambiare, di ammettere di essersi sbagliati, di sbarazzarsi di quel cadavere imbarazzante che siamo diventati per evolverci in qualcosa di migliore.

Mi dispiace, ma non ne vedo altra spiegazione. A parte forse una, ben più pratica: la mia amica di lavoro fa l’insegnante di religione. Probabilmente se avesse deciso di seguire il mio consiglio e avesse poi pure deciso di cambiare parrocchia, avrebbe certamente perso il lavoro. E’ una cosa che capita abbastanza spesso in tutta Italia, da Palermo a Trento, da Fano a Firenze, ma fa parte dei rischi del mestiere quando si sceglie un lavoro come quello, con un datore di lavoro che predica la tolleranza ma che si comporta come un feudatario medievale.

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I problemi dell’educazione religiosa dei figli per un padre ateo e pastafariano

E’ facile convertirsi al Pastafarianesimo: è una religione che offre tutte le agevolazioni, non è esigente, non richiede la frequenza a noiosi riti nei giorni di festa e non vede nella sofferenza e nel sacrificio un modo di avvicinarsi a dio.

 

Quello che però è meno facile è conciliare tutto questo con l’educazione di un figlio. Probabilmente perché nel frattempo ho conosciuto più a fondo questa religione, ed insieme ad essa anche tante questioni. Argomenti sottili, che arrivano a toccare anche altre religioni, prima fra tutte la negazione stessa della religione, l’ateismo. Tutti questi ragionamenti, spesso guidati dall’illuminazione di qualche birra consumata in compagnia di amici nella mia taverna preferita, non hanno mai fatto vacillare la mia fede nel Pastafarianesimo, anzi l’hanno rafforzata ed integrata di una forte dose di razionalità. Il risultato è che si è complicato l’approccio spensierato ed entusiasta dei primi tempi. Per altre religioni parlare di fede razionale è un controsenso se non addirittura una bestemmia: si sa che nelle religioni un po’ inconsistenti la ragione allontana dalla fede, e quindi il pensiero fine e autonomo viene scoraggiato fortemente. Ma nel Pastafarianesimo si può ragionare: da soli, in una euforica compagnia di amici, con degli sconosciuti rispettosi e non armati. E il ragionamento non può che portare nuovi argomenti a rafforzare questa religione: ecco uno dei punti che più amo e che più dà vento alle vele della mia fede razionale in questa religione.

 

Ma partiamo con ordine. Il Pastafarianesimo è una religione, ed io ne sono un devoto seguace. Secondo il modo di agire comune alle altre religioni, dovrei volere che pure mio figlio lo sia allo stesso modo. Da pastafariano, mi auguro che conduca sul pianeta una vita felice, rispettosa e ricca di soddisfazioni, e che giunto alla fine della stessa si meriti appieno il suo spumeggiante vulcano di birra fresca con annessa la fabbrica di conturbanti spogliarelliste. Ma ho già detto che il pastafarianesimo è una religione particolare, che accoglie a braccia aperte nella sua comunità anche persone che non credono alla lettera nell’esistenza del Flying Spaghetti Monster, ma che semplicemente scelgono di accettarne i consigli di comportamento. Questo rende automaticamente pastafariana qualunque persona del pianeta, a condizione che segua dei precetti morali coerenti con i nostri. Anche a sua insaputa, già. E soprattutto, anche se crede in una divinità concorrente. Il Flying Spaghetti Monster, a differenza di gran parte delle divinità monoteistiche moderne e passate, non è per niente geloso, e non minaccia mai di scatenare la sua collera contro chi crede in altri dei o non crede in lui. Diciamo pure che il Signore del Carboidrato in questo è una divinità controcorrente, perché non si limita a suggerire dei comportamenti, ma è il primo a dare il buon esempio seguendo lui stesso le sue indicazioni di tolleranza e rispetto.

Obama Pirata Pastafarriano
Il presidente degli Stati Uniti è a sua insaputa pastafariano, sebbene frequenti anche una chiesa di una divinità alternativa

Grazie a questo sano principio posso stare tranquillo che se anche mio figlio non abbraccerà mai la fede pastafariana, basta che si comporti in modo moralmente accettabile e avrà comunque diritto a vulcano e spogliarelliste, e quando giungerà il suo momento sarà per lui una piacevolissima sorpresa, ne sono certo. Sarà quindi sufficiente che io lo formi secondo i principi etici in cui credo. Considerando che i principi morali sono innati in ogni essere umano, non dovrò imporgli proprio niente, casomai evitare che qualche altro principio distorto preso da altre religioni non finisca per intrufolarsi.

 

E perché dovrei fare tutto questo? Non potrei semplicemente condurre mio figlio sulla strada del Pastafarianesimo? Ci ho pensato a lungo. E alla fine ho deciso di no. Per tre motivi.

 

Il motivo etico

L’ho appena detto: ogni persona ha da sé tutto quello che gli serve per capire che cosa è giusto o sbagliato, senza che questo gli venga spiegato da un prete in malafede o da un conoscente bigotto e zelante, senza che gli venga fatto credere che in base a come si comporta in questo universo ci saranno terribili punizioni o meravigliosi premi in una ipotetica e trascendentale vita futura. Il mondo, come dice il poeta, è fatto di buoni e cattivi. I primi si comportano bene e i secondi, manco a dirlo, si comportano male. La religione è il sistema più subdolo e raffinato per forzare le persone buone di comportarsi male o semplicemente in modo eticamente distorto, mantenendo però la coscienza pulita. Francamente, non voglio questo per mio figlio. Se mai si comporterà male, voglio che lo faccia per puro spirito di cattiveria volontaria, non certo per attendere ai secondi fini di chissà quale lunatica divinità.

Il motivo della libera scelta

Il secondo motivo è pure più semplice: non ho l’arroganza di pretendere che il mio dio sia quello giusto, e che debba essere io a decidere per mio figlio quale dio dovrà adorare. Non voglio fare l’errore tipico dei genitori religiosi di tutto il mondo che costringono i loro figli a seguire la propria religione, attraverso rituali di iniziazione ancestrali come circoncisioni o immersioni in acqua per perdonare loro dei reati che non hanno nemmeno avuto il tempo di commettere. Molta gente pensa che con questo mio comportamento io stia privando mio figlio di una cosa importante come la fede. In realtà è proprio il contrario: io comportandomi così non gli sto imponendo niente che vada contro la sua volontà, e se un giorno lo vorrà non avrà nessun pregiudizio e potrà scegliere la religione che preferisce. Voglio ricordare che nessun bambino nasce credente, ma che la religione viene in genere infilata nella testa contro la sua volontà in una età in cui la fiducia negli adulti è massima, unita alla totale incapacità di difendersi e di distinguere il vero dal falso. Basta provare a parlare di catechismo ad un figlio solo quando ha compiuto diciott’anni, per vedere cosa dice, e se sarà felice di dover confessare i suoi atti impuri ad un prete. Mio figlio avrà accesso ad una vasta letteratura per l’infanzia e magari, quando lo riterrò il momento adatto, insieme ai più celebri classici per bambini e ragazzi potrò anche fargli conoscere le storie più divertenti e singolari delle divinità del passato. I miti greci, sempre attualissimi nei loro concetti assoluti di esseri umani impavidi e curiosi che si scontrano con divinità imperfette e capricciose; quelli nordici, di respiro più catastrofico e grandioso nella lotta contro una natura avversa. Le favole degli indiani d’America secondo cui discendiamo dalle stelle; quelle dei popoli africani, piene di ancestrali animali parlanti. Ma anche le incredibili bizzarrie degli dei gelosi e truculenti del vicino Oriente, tutt’ora le più apprezzate da miliardi di persone al mondo. Starà a lui capire la differenza tra la letteratura classica e quella di matrice religiosa, e decidere se avrà bisogno credere nell’esistenza di qualcosa di tutto questo per sentirsi a posto con se stesso. Magari sceglierà il poderoso dio col martello Thor, o magari Bacco, generoso dispensatore di bevande alcoliche. Oppure stupirà tutti scegliendo come libro sacro un vero classico della letteratura quale l’Isola del Tesoro ed eleggendo il capitano Flint a dio pirata personale, degno di ogni venerazione. Se poi qualche dio sentirà il bisogno di manifestarsi presso mio figlio per far valere le sue ragioni, sarà libero di farlo. Basta che ci metta la faccia di persona: sono stanco di tutti questi dei che funzionano solo per sentito dire.

Il motivo concreto

Il terzo motivo varrebbe anche da solo, senza gli altri due: la mia amata arriva a condividere i miei sentimenti atei, ma non la mia passione pastafariana. Quindi ho carta bianca sull’ateismo, ma se solo provassi a spiegare ai mio figlio la Sugosa Via dello Spaghetto, vivrei nel terrore che li faccia battezzare di nascosto in chiesa alla prima occasione, giusto per farmi torto.

Di motivi ce ne sono abbastanza. In più ci vedo un ottimo punto di forza: quando un bambino cresce senza che la testa gli venga riempita di storielle religiose fatte passare per vere, maturerà una mentalità più scientifica e razionale. Sarà portato naturalmente a non credere a tutto quello che si dice, alle pseudoscienze, allo spiritismo, alle scie comiche, ai presidenti che si sono fatti da soli e alla lobby dei barbieri (grazie a Lega Nerd per la gustosa segnalazione, starò attento la prossima volta che mi faccio tagliare i capelli). Potrà vivere meglio, in pace con se stesso, senza che debba fare affidamento su interventi divini esterni ogni volta che ne ha bisogno, ma piuttosto contando consciamente sulle proprie capacità e sull’aiuto delle persone che lo circondano e che gli vogliono bene. Senza quell’angoscia generata da un dio onnipotente e guardone che non ha altro da fare che controllare ogni momento quello che pensa, dice o fa, per poi presentare poi il conto alla fine. Non ne avrà bisogno. Credo che nessuno ne abbia bisogno, serve solo il tempo di capirlo, e qualcuno deve pure iniziare.